Pubblicato in Da mamma a mamma n. 36 - estate 1994

Sono la mamma di due bambini di 12 e 4 anni. Quando nacque la mia seconda figlia, così come quando nacque il primo, ero fortemente motivata e desiderosa di allattarla, per cui cercai di mettercela tutta perché non finisse troppo presto questa esperienza come con il primo figlio.
Al mio rientro a casa dopo il parto, dove finalmente potevo fare come volevo, allattai la bambina a richiesta (non ad orari fissi), non le diedi nessuna aggiunta (come invece avevo fatto con l'altro) e lei cresceva bene. Cominciai a soffrire di ragadi e avevo qualche dubbio da chiarire, così per la prima volta composi il numero di telefono della mia Consulente de La Leche League, il cui numero mi era stato dato da un'ostetrica al corso preparto che avevo frequentato, "in caso di problemi di allattamento", mi era stato detto sommariamente. In quell'occasione ricevetti utili consigli e decisi di procurarmi il manuale "L'arte dell'allattamento materno".
Una mattina, dopo 20 giorni dal parto, cominciai ad accusare forti dolori all'addome; il medico che venne a visitarmi disse che, con ogni probabilità, si trattava di una brutta colica o di un attacco di appendicite, e che mi dovevo recare in ospedale qualora le mie condizioni non fossero migliorate. Potete immaginare la mia tristezza al pensiero di dovermi separare dalla mia bambina e di dover rinunciare ad allattarla; pensavo che non era giusto che anche questo allattamento dovesse già finire, proprio ora che le ragadi erano guarite. Passai il pomeriggio a leggere i capitoli del manuale che riguardano le mamme che devono assentarsi per motivi di salute o subire interventi chirurgici; il mio stato di salute peggiorò e anche la febbre si era alzata.
Mi recai in ospedale alle h. 23: mi fu diagnosticata un'appendicite e alle h. 24 mi operarono d'urgenza. Avevo chiesto a tutti se era possibile rinviare, perché avevo una bambina di 20 giorni a casa che mangiava da me, ma fu inevitabile. Davanti a questa situazione, mentre mi preparavano per l'intervento, cominciai a chiedere a tutti (medici, infermieri, anestesisti) se mi avessero lasciato allattare la bambina dopo l'intervento: tutti mi rispondevano che non era mai successo prima di allora, "vedremo.... al massimo glielo darà quando torna a casa." Gentilmente chiesi alle infermiere che discutevano quale posto letto assegnarmi, se era possibile mettermi in una stanzetta a 2 letti che sapevo essere libera, in modo che, se avessi potuto vedere mia figlia, non avrei disturbato altre pazienti; furono comprensive e mi dissero di sì: avevo un punto a mio favore. Nella notte in cui fui operata, mio marito corse a casa e diede alla bambina del latte artificiale che mi era stato dato quando mi avevano dimesso dopo il parto. Quando mi svegliai la notte subito dopo l'intervento, il seno era duro e al mattino avevo un brutto ingorgo; un'infermiera che aveva allattato le sue due figlie capì la mia situazione e mi diede una brocca di acqua calda con la quale mi feci delle spugnature, ma ciò non bastò.
Passò un chirurgo a visitarmi, gli chiesi di poter avere la bambina e gli mostrai anche l'ingorgo; egli mi disse: "Lei signora è uno straccio, deve capire che quello che le è capitato non è colpa di nessuno, non l'ha cercato lei, ha preso l'anestesia, è in cura con antibiotici, non gioverebbe certo a sua figlia. Di allattare non se ne parla, la bambina non muore, può prendere il latte artificiale." Gli dissi che avevo letto di mamme che avevano allattato nonostante l'anestesia, la febbre e gli antibiotici, e in più c'era questo ingorgo mammario che mi faceva stare peggio di quanto già non stessi e la bambina mi avrebbe aiutato a risolverlo. Il chirurgo mi rispose: "Per l'ingorgo ci faremo prestare un tiralatte dall'Ostetricia, per l'allattamento deve farsene una ragione, le chiamo un ginecologo e le faccio prescrivere delle pastiglie che le facciano andar via il latte." Mi sentivo sconfitta; quando dopo 2 ore arrivarono due ginecologi, io con un filo di voce e oramai senza speranza, ripetei loro il mio desiderio di allattare la mia bimba, che aveva 20 giorni e che era stata in stretto contatto con me da che era nata. Mi risposero: "Adesso diamo un'occhiata agli esami clinici e se lei veramente se la sente noi daremo il nostro benestare; per gli antibiotici vedremo se sono compatibili con l'allattamento, ma non ci dovrebbero essere problemi." Mi salutarono e mi fecero gli auguri. NON CREDEVO ALLE MIE ORECCHIE, non sapevo come ringraziarli e raccomandai loro di convincere i chirurghi. Il "nulla osta" non tardò ad arrivare.
Di lì a poco arrivò mio marito, gli comunicai la bella notizia, e lui corse a casa a prendere la bambina e tutto il necessario; dopo due giorni l'ingorgo si risolse, però la bimba presentava dei puntini rossi al viso e al sederino, dovuti forse al latte artificiale, a detta del pediatra (ne aveva preso tre biberon). Siamo stati insieme tutti e tre per cinque giorni e quattro notti; al di là delle mie aspettative, anche mio marito e la bambina poterono stare lì con me di notte. Devo dire che il personale è stato molto comprensivo, anche perché in questo modo io non ho pesato su di loro, in quanto c'era mio marito che mi aiutava ad accudire la nostra bambina. Abbiamo trascorso lì il Natale; non era certo il Natale che sognavo, ma è stato un bellissimo regalo di Natale quello di non separarmi da mia figlia. Non è stato facile, dato il mio stato, però con l'aiuto di mio marito e con la prospettiva di poter continuare l'allattamento la realtà era assai meno triste. La bimba è sempre cresciuta bene e la sua pelle è tornata di velluto. Se io non avessi contattato la Lega, se non avessi avuto tra le mani quel prezioso manuale, mi sarei rassegnata a seguire le indicazioni del chirurgo e a credere alle sue motivazioni senza oppormi, mentre il "conoscere" mi ha aiutata ad insistere nei miei tentativi, sapendo di non danneggiare mia figlia.
- C. N.