I primi sentimenti che abbiamo come genitori sono la sorpresa, l'orgoglio, l'accettazione e la pienezza.
Nell'allevare i figli abbiamo una seconda possibilità di crescere, di trasmettere le nostre esperienze vissute e di preparare la strada alle generazioni a venire. Osservare e dar retta alle richieste e ai segnali che ci dà il nostro bambino, non solo in relazione allo svezzamento ma su ogni aspetto della sua crescita, è forse il miglior modo di vivere la condizione di genitori.
Così facendo, non solo stiamo attenti alle necessità del bambino e a ciò che potrebbe nuocergli, ma in più noi stessi, come genitori, ci mettiamo nella condizione di imparare ad esserlo, ed in questo il bambino può insegnarci molte cose.
Ci sono molti pregiudizi circa l'allattamento prolungato nel tempo, sulla scelta di lasciare che sia il bambino ad avere l'iniziativa di smettere, sull'opportunità di lasciarlo dormire nel lettone con i genitori. Molte teorie serie oggi hanno un certo peso proprio grazie alle vicende di molte mamme che hanno allattato a lungo. Grazie a tutte loro.
E' assai utile soffermarsi sul termine infanzia, dato che non solo serve a definire l'età del bambino ma anche a richiamare una condizione della mamma. Lo stato infantile, che implica il "non parlare", pretende dalla persona che osserva o accudisce il bambino la capacità di emozionarsi con i sentimenti del piccolo e perfino di immedesimarsi nell'infanzia stessa.
Durante la gravidanza la mamma sente una forte preoccupazione circa il proprio corpo, e questo è l'inizio della preoccupazione che più tardi comincerà a provare per il corpo del suo bambino, un aspetto fondamentale nel processo di attaccamento affettivo. Tutto questo porta con sé qualcosa di estremamente importante: la capacità della madre di accudire non solo il corpo del bambino ma anche ogni sua altra necessità. Tutti gli studi sul comportamento dei bambini che sono stati realizzati negli ultimi vent'anni non avrebbero alcun significato se non fossero stati messi in relazione con i sentimenti delle mamme nei confronti dei loro bambini. Dopo la nascita, la madre attraversa un periodo di grande sensibilità, durante il quale è estremamente vulnerabile; in queste condizioni si prospettano due possibilità: o la preoccupazione e l'attaccamento per il proprio bambino, o il suo disconoscimento e l'allontanamento. L'allattamento gioca un ruolo assai importante in questo periodo di apprendimento.
In tutto questo è interessante notare che il neonato ha la capacità di rispondere allo stile di allevamento operato dalla madre; non è parte passiva in questo processo. Di fatto diventa lui stesso l'architetto che costruisce tutti quei legami che diventeranno poi elementi così importanti nel suo sviluppo.
L'allattamento aiuta a formare il legame fra madre e figlio
L'interscambio tra la madre e il bambino è mutuo; questa reciprocità è un carattere distintivo della relazione tra madre e figlio, proprio in funzione della preoccupazione della prima per il secondo. Non è qualcosa che esiste solo nell'immaginazione. Tutto questo è particolarmente vero con i bambini allattati, giacché quando il bambino poppa stimola varie reazioni nel corpo della madre. Le ricerche dimostrano che la madre che allatta produce polipeptidi (endorfine incluse), e questo modifica in lei l'umore e la sensibilità, e le induce una tranquillità che facilita l'allattamento. Queste sono nuove aree di ricerca nel campo della biologia e della psichiatria; si stanno cominciando a capire le modifiche ormonali che si manifestano con l'allattamento e che facilitano la costruzione dei legami affettivi tra madre e figlio.
È quasi come se in questa fase "priva di parole" si stessero formando le basi della reciproca condivisione. Il fatto è che questa reciprocità ha basi biologiche: il bambino nasce per condividere le sue esperienze con la madre, e lei a sua volta si dedica per tutta la vita a condividere le sue esperienze con un nuovo essere. Non c'è dubbio che con l'allattamento ci sia una base fisiologica per ciò che concerne le vicende psicologiche dell'infanzia.
Si è notato come i bambini allattati comincino ad esprimersi ed a parlare meno precocemente di quelli nutriti con il biberon, ma in compenso le loro capacità di comprensione sono spesso assai più sviluppate. Inoltre, al contrario dei bambini allattati con il biberon, essi vedono ancora la loro mamma come parte di se stessi. Forse è per questo che tendono a svegliarsi di più durante la notte, anche se questo non è necessariamente un fatto negativo. I neonati che condividono il lettone con i loro genitori tendono sì a svegliarsi più frequentemente, ma per periodi di breve durata, con conseguente minore fastidio per la famiglia. La realtà è che nella nostra società non sappiamo più come siano realmente le caratteristiche naturali del sonno durante l'infanzia.
Cresceranno meno ansiosi e più sicuri di sé.
L'idea generalizzata che ci suggerisce che dobbiamo riuscire ad ottenere l'indipendenza dei bambini nei primi due o tre anni di vita, pensando persino che debbano esserlo addirittura verso i sei mesi di età, semplicemente non è valida: Mary Ainsworth, un'eccellente ricercatrice sull'infanzia, ha raccolto un'abbondante letteratura che lo dimostra. I bambini molto legati psicologicamente e sociologicamente alla madre a uno o due anni di età non saranno un'inutile appendice nel rapporto madre-figlio quando saranno più grandi; inoltre, non avranno ansietà all'inizio della scuola e saranno più sicuri di sé a 5 anni.
Questa è una delle questioni più discusse e meno comprese nella nostra società attuale. La sua tendenza a tentare di rendere indipendenti i bambini troppo presto, probabilmente favorisce molti dei problemi di cui soffre la nostra società. La pseudo-indipendenza porta al falso Sé, e questo problema si presenta nei bambini che non hanno avuto sufficienti esperienze, intense e reciproche, con altri esseri umani, così da poter definire il proprio Sé.
Quello che succede ad un bambino cui non si permette di essere dipendente, che viene svezzato prematuramente, è che sviluppa il sentimento di essere la madre di se stesso, o di essere padre di suo padre. In sostanza, il bambino non riesce a sviluppare il suo proprio Sé, il sentimento di essere "lui stesso", di essere una vera persona. Questo vero Sé si va delineando attraverso la risposta del mondo esterno e dalla capacità di riuscire a far accadere qualcosa in quel mondo, di sentirsi in certa misura onnipotente e avere l'illusione di essere il padrone del mondo e colui che lo comanda. Ecco quindi che l'ottenere la risposta della madre finisce con l'essere un aspetto molto importante di quel sentimento di essere persona.
Allattare è interagire con il bambino
Non solo, questa attitudine di pseudo-indipendenza dà alla persona la sensazione di essere separata dal proprio Sé. La psicoanalisi ci ha consentito di scoprire che molte delle persone che crescono con questa indipendenza autodifensiva sono, nel profondo delle loro menti, esattamente il contrario di come si mostrano: assai dipendenti, inutili, ansiose, scontente per come sono, e non conoscono se stesse.
L'allattamento prolungato ha funzioni molto interessanti nella ricerca della sicurezza interiore. Lungo il periodo dell'allattamento il significato del seno per il bambino si modifica via via. In prima istanza è un posto cui attaccarsi, soddisfacendo così il semplice riflesso di avere una buona presa e di succhiare; è qualcosa che fa sì che la bocca si muova. Poi diventa qualcosa che permette al bambino di saziarsi. Successivamente c'è la mamma dietro a quel seno, il suo volto, la sua voce e l'interazione reciproca tra i due. Tutto questo si realizza e si consolida con l'allattamento.
Qualunque pediatra può dire che lo svezzamento dopo gli otto mesi e più difficile che prima di quell'età. Il motivo di ciò è che dopo quell'età il seno comincia ad avere un'importanza più significativa per il bambino, come oggetto che calma e rasserena, e questo non è un male. Anzi, di fatto è assai conveniente perché l'allattamento continua a favorire la costruzione del legame e rende l'esperienza di dipendenza più significativa. Da questa dipendenza iniziale, il bambino andrà emergendo con un senso di indipendenza più grande.
Questo diventare qualcosa di più porta l'allattamento prolungato a venir considerato dal bambino come l'equivalente del tipico pupazzetto di peluche, del piccolo cuscino o del pezzettino di coperta. Molte mamme possono rimanere sconcertate, ma è certo che molte altre si sentono a loro agio e di fatto partecipano attivamente a questa situazione. In qualche maniera sanno intuitivamente che lì c'è qualcosa di importante che necessita di essere sviluppato e preservato, piuttosto che interrotto rapidamente.
L'allattamento è un'esperienza che cresce e cambia Penso che la ragione per cui La Leche League ha adottato l'idea di consentire al bambino di porre le sue condizioni per lo svezzamento sia un riconoscimento intuitivo del fatto che questa esperienza debba crescere e cambiare, e non finire traumaticamente. L'evoluzione dell'esperienza dell'allattamento racchiude in sé un processo di crescita reciproca, di appartenenza, di creazione, di concessioni e di innumerevoli cambiamenti prima che si verifichi la fase finale dello svezzamento. Entrambi, mamma e bambino, avranno così, come risultato dell'esperienza dell'allattamento, un potenziale creativo che potrà affiorare in molti modi, in situazioni anche solo remotamente similari.
Lo svezzamento ideale è lento e graduale
Un altro luogo comune della nostra società circa l'allattamento al seno prolungato riguarda la possibilità che i bambini possano diventare degli effeminati, diventare "cocchi di mamma" e che avranno problemi con la loro identità sessuale. È sicuro che alcuni bambini possono presentare questi problemi, ma sicuramente non sono quelli che sono stati allevati adeguatamente, e con in più l'opportunità di creare quell'esperienza psicologica così speciale della quale si è parlato fino ad ora. I bambini che presentano questi problemi sono quelli che sono stati limitati in forma abnorme e severa dai genitori. Non è qualcosa che possa essere messo in relazione con l'allattamento, bensì con tutte le altre cose coinvolte nell'interazione madre-figlio. Possono esserci problemi quando il figlio è un maschietto che è visto dalla propria madre come "un'estensione di se stessa" più che come un bimbo che sta imparando ad essere uomo e scoprendo come esserlo.
Ancora: oggi si pensa che il bambino non sia capace di svezzarsi da solo, ma che al contrario, a dipendere da lui, egli vorrà restare attaccato al seno della mamma per sempre. In questo c'è qualcosa di vero e qualcosa di falso insieme. È' certo che il bambino vorrà sempre continuare ad essere legato strettamente alla madre, ma questa cosa potrà un giorno essere sentita anche al di fuori dall'esperienza fisica del poppare, e cioè nel pensiero, ma sarà necessario prima che la sua mente possa maturare fino a diventare capace di rappresentare quest'esperienza nella sua mente.
È' per questo che lo svezzamento lento e graduale, guidato dalla propria intuizione piuttosto che dai suggerimenti di altre mamme - visto che non esistono due mamme uguali né due bimbi uguali - è preferibile allo svezzamento imposto arbitrariamente. Uno svezzamento stabilito arbitrariamente può condizionare il sentimento del bambino di essere persona e di essere capace di usare il proprio discernimento in maniera autonoma e differente dagli altri.
L'autore, Justin P.Call, è membro del Comitato di Consulenza scientifica de La Leche League, professore e capo della Divisione di Psichiatria dell'Adolescente e del Bambino nella Scuola di Medicina dell'Università di California, Irvine. È specialista in pediatria, patologia pediatrica e ricerca in neuropsichiatria infantile e psicoanalisi infantile. È fondatore dell'Associazione Mondiale della Psichiatria Infantile e Discipline Affini, ed è stato consulente dell'Istituto Nazionale per la Salute Mentale negli Stati Uniti.
Tradotto da Yolanda Lleo e Giulio Cavini Benedetti