Pubblicato in Da mamma a mamma n. 54 - inverno 1998-99

Circa tre anni fa a scoprii di essere positiva al test dell'epatite C, dopo aver eseguito delle analisi cliniche per un banale e persistente mal di stomaco. Ulteriori indagini avrebbero evidenziato, invece, una negatività, cioè che il mio RNA era qualitativamente e quantitativamente negativo.
L'anno successivo decisi di avere un bambino. Nessun medico e nessun ginecologo mi avvertirono della pericolosità per una gravidanza e soprattutto della mia impossibilità di allattare. Solo alla fine del sesto mese, durante una visita presso l'ospedale prescelto per partorire, il ginecologo di turno mi informò che essendo HCV positiva non avrei potuto allattare. Comunque, ne avrei poi parlato con il pediatra del nido.
Allarmata da questa notizia ne chiesi conferma al mio ginecologo e alla mia amica gastroenterologa, che decise di farmi effettuare delle nuove indagini diagnostiche. Il mio RNA, sia qualitativo che quantitativo, era sempre negativo. Durante il corso di preparazione al parto, che ho frequentato nel consultorio di zona, appresi dal pediatra che la mia situazione clinica mi avrebbe permesso di allattare. Ma purtroppo non fu così.
La pediatra dell'ospedale dove partorii, convocandomi a porte chiuse e "intrecciandomi" un discorso sul senso della vita, mi disse che per il bene del mio bambino non avrei dovuto allattarlo, perché lo avrei infettato. Così mi impedirono di tenere il piccolo in stanza per le poppate. Il bimbo fu ricoverato per una giornata al reparto di neonatologia per i dovuti controlli. Ad ogni poppata raggiungevo il reparto, e poi il nido, dove e mi rifornivano di un biberon. Nonostante la depressione e i pianti, arrivò anche per me il giorno della montata lattea. Le ostetriche faticarono a fasciare i mi seni ed io non riuscivo a dormire per il dolore. Oltre a questo supplizio mi venivano somministrate delle pillole per mandare via il latte. La mattina della dimissione un'ostetrica, mentre mi stava lasciando, mi diede il nominativo di un pediatra di un vicino ospedale che permetteva alle mamme HCV positive di allattare. Il giorno dopo ero già li. Il pediatra mi rassicurò e mi disse che con la mia situazione clinica le possibilità di contagio erano bassissime, quasi nulle. L'unica vera fonte di trasmissione del virus era il sangue e quindi il parto e non il latte. Se avessi voluto avrei potuto allattare il mio bambino. È stata dura, molto dura, abituare al seno un bambino confuso fin dalla nascita dalla tettarella. Per incrementare la mia ridotta produzione di latte servirono sia i consigli fornitimi da una consulente de La Leche League sia tre sedute di agopuntura.
La mia storia ha avuto un lieto fine, ma non so quante mamme HCV positive possono dire altrettanto. Non dovrebbe essere il caso o la provvidenza a fornire le informazioni corrette. Gradirei infine ringraziare le persone che mi hanno aiutato o sostenuto in questa mia scelta: l'ostetrica dell'ospedale dove partorii e le consulenti della Lega per l'Allattamento Materno. Nonostante siano trascorsi già dieci mesi, provo ancora sofferenza nel raccontare la mia storia, ma spero che il mio racconto possa essere di aiuto e di conforto ad altre mamme.
- L. A., Roma