Da Da mamma a mamma n. 45, Autunno 1996

La mia bimba ora ha 21 mesi e prende sempre il mio latte; nel frattempo da quando lei ne aveva 18 ho ripreso a lavorare. L’orario è buono - sei ore- ed essendo vicina perdo poco tempo per il trasferimento. Se non fosse per un momento difficile dal punto di vista economico, avrei preferito continuare l’aspettativa non pagata e stare con lei fino ai tre anni, ma non essendo possibile per ora cerco di godermela il più possibile quando sono a casa.
C’è stata una maggior richiesta delle "tettine" (come le chiama lei) nel passaggio dallo stare con me sempre al vedermi meno. Prima ciucciava di notte (due o tre risvegli) e per addormentarsi, poi è diventato un modo per recuperare il tempo in cui non c’ero, per cui appena mettevo piede in casa venivo assalita per avere le "tettine". Ora le cose sono un po’ cambiate, a volte vado via al mattino che dorme ancora (e sempre più spesso la notte si allunga) e mi vede alle 14, e se usciamo è capitato che non le vengano neanche in mente. A volte le "tettine" sono solo la consolazione per pomeriggi casalinghi, altre si lascia distrarre e se ne dimentica, e quando è proprio determinata mi chiedo se abbia senso farla piangere visto che appena si tira fuori "la tetta" le viene un sorriso enorme e ci si tuffa a pesce. A me piace molto poter continuare ad averla così vicina. Sento una bella complicità, le parlo, scherziamo e lei fa delle risate argentine senza mollare il capezzolo.
Per concludere volevo dire che poi la mia bimba ha imparato ad aspettarmi alle 14 per dormire con le "tettine" (altrimenti era col papà che, un po’ più a fatica, l’ ha addormentata diverse volte). Due volte alla settimana faccio il pomeriggio e sta col nonno – che abita nello stesso palazzo – e si addormenta col capino sulla sua spalla. Non so come possa essere per chi lavora più a lungo, comunque quando non è con me è col papà e a volte capita che per qualche ora stia coi nonni, ma l’importante è che la vedo in prevalenza gioiosa, scherzosa; i lavori della casa a volte li faccio con lei che mi gioca intorno, a volte mentre dorme al pomeriggio un’oretta, e poi è aumentata la collaborazione di mio marito. Comunque nella scaletta dei valori viene sempre prima lei, il resto può aspettare.
G.C.

Sono mamma di una bambina di 14 mesi, che ancora allatto, anche se ormai quasi sempre solo la sera o la notte. Èd è stata un’esperienza meravigliosa grazie soprattutto ai consigli de La Leche League.
Quando mia figlia aveva un mese ho ricominciato a lavorare. A malincuore, devo dire, ma come insegnante di yoga e tecnica Alexander non avevo trovato una sostituzione. Lei rimaneva a casa con il papà per qualche ora. Il suo ritmo, anche se variava molto, era di poppare ogni 2 o 3 ore e a parte poche volte che forse non ero in sintonia con lei, sono sempre riuscita a soddisfarlo. L’allattavo prima di uscire e subito al mio ritorno. Piano piano ho ricominciato a lavorare di nuovo anche a casa. Con le persone con le quali avevo più confidenza, tenevo la bimba nella stanza con me. Lei mi guardava con i suoi grandi occhi chiari, seguiva i movimenti e sorrideva. Gli alunni spesso si innamoravano e a volte mi sono chiesta se venissero più per lei che per me! Trovavo straordinario poter lavorare anche insieme a lei.
Adesso cammina e non sarebbe più possibile, lavoro solo il pomeriggio e lei esce con il papà con il quale ha instaurato un rapporto bellissimo fin dall’inizio, essendo così abituata alla sua presenza. Mi ritengo molto fortunata a potermi gestire così un lavoro part-time.
Grazie ancora di cuore.
A.M.


Quando è nato il nostro secondo bambino, non ho avuto dubbi su come ne avrei gestito l’allattamento: l’esperienza acquisita con la nostra primogenita, mi rassicurava.
Grazie alla mia disponibilità ad allattarlo su richiesta abbiamo superato in modo felice anche un’introduzione ai cibi solidi piuttosto lenta e difficile, inconcepibile senza una gestione elastica dell’allattamento. Ciò è stato possibile anche grazie alla decisione di riprendere il lavoro dopo quasi un anno dalla nascita del mio bimbo.
Quando ho ripreso a lavorare, tuttavia, non ho preso in considerazione l’idea di interrompere l’allattamento; così facendo, né io né mio figlio abbiamo vissuto in modo traumatico il distacco.
Sapevo già, questa volta, che mio figlio, come tutti i bambini, si sarebbe adattato, nutrendosi durante la mia assenza con qualcosa di diverso dal mio latte: si sarebbe "rifatto" poi, al mio rientro a casa.
Infatti, prima di uscire alla mattina, lo allatto (qualche volta un po’ più presto delle altre, dipende dai miei orari, ogni volta diversi) e al pomeriggio, quando torno, sono di nuovo a sua disposizione, se ha ancora fame, sete o bisogno di coccole.
Mentre sono via, lui sta per lo più con suo padre, col quale spesso riesco ad alternare la mia presenza, dato che siamo entrambi insegnanti; solo qualche volta abbiamo bisogno dell’aiuto dei nonni, che abitano lontano.
Durante il fine settimana, poi, mi capita di allattarlo più spesso, e forse è vero che beve più latte degli altri giorni, ma i bambini sanno regolarsi meglio di noi nel mangiare.
Continuare l’allattamento, quindi, è per me decisamente conveniente, ed anche più facile, oggi, rispetto all’esperienza con la prima figlia.
M.T.C.B.


Racconto la mia esperienza di madre che "allatta e lavora", sperando che altre mamme possano trarne qualche suggerimento e soprattutto un incoraggiamento a continuare ad allattare anche se il lavoro ti richiama "al dovere".
Sono tornata al lavoro quando mio figlio aveva 16 mesi, ma non si rimane mai abbastanza a lungo vicino al proprio bambino; in quel momento sono stata un po’ in crisi. Poi ho attuato questa strategia: ho cominciato ad assentarmi gradualmente, nella mattinata, cercando di spiegargli il motivo, lasciandolo con una baby-sitter che lui già conosceva per aver frequentato in passato la nostra casa. Al mio ritorno lo trovavo ansioso di poppare, ma abbastanza sereno, e in quel modo gli riconfermavo la mia presenza e disponibilità.
Il mio pediatra mi diceva che avevo "un asso nella manica" per rassicurare il mio bambino in un momento tanto critico per tutti e due. L’allattamento mi ha aiutato tanto in quella situazione.
Poi sono stata fortunata perché i superiori preposti al mio impiego hanno accettato la mia richiesta di lavoro part-time e con l’orario più favorevole sono riuscita a continuare l’allattamento.
Attualmente il mio piccolo ha due anni. Al mio rientro a casa dal lavoro si addormenta poppando beato al seno, ed al risveglio possiamo goderci il pomeriggio, come non si riuscirebbe a fare lavorando per la intera giornata. Certo, la scelta di lavorare part-time è impegnativa sia in termini economici sia di carriera, ma io consiglio, se appena è possibile, di farlo, di provarci perché un figlio è il patrimonio più importante nella vita.
G.S.


Da quando è nato, il mio bimbo è sempre stato allattato al seno e lo è ancora adesso che ha più di due anni; ne sono lieta ed orgogliosa anche se devo dire che per me non è stato troppo difficile condurre l’allattamento: ho come una fede dentro di me che mi fa sentire tranquilla e forte nella mia decisione di allattare il mio figliolino fino a quando lo vorrà. Un giorno però, quando non aveva ancora compiuto un anno, fui costretta a prendere rapidamente in considerazione il mio ritorno al lavoro: il lavoro di mio marito non andava bene e per quanto i miei suoceri e in parte i miei genitori ci aiutassero economicamente non riuscivamo ad andare avanti. Fu una decisione sofferta. Io e mio figlio non eravamo mai stati separati e lui non era abituato ad altri che a me, nonostante vivessimo con i miei suoceri: la cura di G. l’non avevo mai delegata a nessuno. In più lui prendeva ancora il mio latte molto spesso e sarebbe stato un brutto trauma dover improvvisamente rinunciare alla presenza fisica della sua mamma, al suo "ciucciatino" pressoché orario.
Iniziai così a tirarmi il latte e a congelarlo per garantire una piccola provvista adatta ad ogni circostanza e ripresi il lavoro con estrema gradualità affidando il mio piccolino alla nonna paterna ed al padre. In ufficio ogni giorno mi chiudevo nella stanza e con il tiralatte mi levavo il latte fra le lacrime e il senso di colpa, poi lo riponevo in una ghiacciaia portatile che mio marito aveva procurato.
Ogni giorno al lavoro mi vedevano andare e venire con la mia ghiacciaia, ero tentata a nascondere cosa effettivamente contenesse, ma poi mi dissi "No, non c’è nulla di male in quello che faccio, e poi forse il mio esempio potrebbe essere utile ad altre mamme". Dopo un primo periodo di perplessità fra colleghi e colleghe trovai però una grande solidarietà, che mi ha aiutata enormemente.
A casa intanto le cose andavano abbastanza bene. G. non sembrava risentire troppo delle mie assenze ed il latte surgelato che la nonna diligentemente gli proponeva sembrava soddisfarlo. Quando tornavo a casa per prima cosa mi chiedeva la "ciuccia" ma il suo desiderio si soddisfaceva in pochi minuti.
Ora lavoro a tempo pieno e non mi tiro più il latte. Quando torno a casa dal lavoro mio figlio mi corre incontro ridendo e mi chiede la "ciuccia". Dopo aver succhiato per pochi minuti, corre via a prendere uno dei suoi giochi. Talvolta mi chiede di ciucciare ma gli basta la mia consueta risposta affermativa per correre via soddisfatto.
La notte dormiamo tutti e tre insieme per compensare così la nostra lontananza durante il giorno, e lui sembra gradirlo, ci sembra un bimbo molto sereno ed allegro e la mattina quando esco per andare a lavorare mi dice: "Ciao mamma, vai a prendere i soldini per comprare il latte da mettere nelle ciuccie!"
A lavoro ho dovuto cambiare molte cose: prima della sua nascita lavoravo ogni giorno fino a tardi ed ero spesso in viaggio, ora lavoro meno ore e ho chiesto di non viaggiare più. Paradossalmente sono diventata molto più efficiente di prima, mi sembra di riuscire in meno ore a fare più lavoro di quanto ne facessi prima in più tempo! Certo sono stata aiutata dai miei colleghi e dai miei capi i quali si sono mostrati molto più comprensivi di quanto mi aspettassi, ma mi piace pensare che un po’ è stato anche merito mio perché li ho sensibilizzati al mio problema e li ho coinvolti in prima persona nella sua risoluzione. Quando osservo mio figlio mi sento serena e mi dico che pur se non posso essergli vicina tutto il giorno sono riuscita a costruire intorno a lui un clima familiare che non gli fa sentire troppo il distacco da me.
S.B.


 

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