Quando nacque Emilio, la mia gioia era alle stelle: era bellissimo e sano. Il mio unico desiderio era quello di tornare nella mia famiglia per condividere con loro, che tanto lo avevano desiderato, la straordinaria avventura di crescere un altro figlio: il quarto. Ero ormai una mamma "esperta", avevo già allattato gli altri bambini senza nessun problema, e anche se erano passati dieci anni conservavo un ricordo dolcissimo di quella esperienza. Non mi restava quindi che aspettare che la natura facesse il suo corso, la montata lattea era abbondante, ma... quando fui dimessa, il mio piccolo preferiva dormire piuttosto che succhiare; dopo pochi minuti di suzione non c'era modo di svegliarlo, con il risultato che ogni poppata diventava fonte d'ansia per i miseri cinque o dieci grammi di latte che lui sorbiva. Non sapevamo a che cosa imputare questa mancanza di appetito, il bambino dormiva e non si lamentava di nulla, ma a dieci giorni dal parto non era aumentato di un solo grammo.

Durante una visita di controllo dal pediatra, ci fu consigliato un ricovero ospedaliero per cercare le cause di questa condizione che non sembrava smuoversi. Furono giorni carichi di paura per me e mio marito, e tra i medici del reparto si andava formulando un'ipotesi inquietante. Nessuno però mi dava consigli su come alimentare il mio bambino. Le puericultrici del nido gli davano latte artificiale e con il biberon Emilio mangiava senza problemi; solo quando lo attaccavo al seno, si ripeteva la stessa situazione.

I medici fecero un ultimo prelievo di sangue e ci dimisero, dicendomi di alimentarlo come meglio credevo.
Mi procurai un tiralatte e anche se la cosa mi dispiaceva, usai i biberon: era pur sempre meglio del latte artificiale, anche se ogni tanto dovevo dargli una giunta. Il peso di mio figlio aumentava di 250 gr. la settimana. Per me era la tranquillità. Emilio aveva un mese quando l'ipotesi inquietante prese corpo, con il risultato di quell'ultimo esame: era affetto dalla sindrome di Down.

Seguirono giorni sconvolgenti, dolorosi; il latte se ne stava andando a causa del mio stato d'animo, della mia ansia. Ero vittima anch'io degli stereotipi sui bambini Down: "Ecco perché non succhiava, ora me lo spiegavo: non aveva abbastanza forza, i suoi muscoli erano ipotonici!!!" Mi ero convinta che non sarebbe riuscito a poppare al seno a sufficienza per crescere. Comunque, ora più che mai volevo continuare a dargli il mio latte, fosse pure col biberon. Era troppo importante per il mio bambino, e questa convinzione mi ha sostenuto ogni attimo.

Quando Emilio aveva due mesi, approdai al Centro Bresciano Down, incontrai la Presidente che tra le altre cose mi chiese che cosa mangiasse il mio bambino; le raccontai le vicissitudini passate e lei, forte della sua esperienza, mi fece capire quanto fosse importante insistere perché tornasse a succhiare e i vantaggi che ne avrebbe tratto. Così feci lo stesso giorno, non senza un po' di scetticismo, con il risultato che alla prima poppata il mio cucciolo succhiò 160gr. di latte. Si era irrobustito e succhiava più che mai, aveva solo bisogno di più tempo. Fu l'esplosione della felicità, niente più biberon e doppie pesate. Solo tanto, tanto tempo a disposizione per goderci l'un l'altra. Passavo fino a cinque ore al giorno con il bambino al seno; grazie alle persone che mi sono state vicine e a quel fondamentale consiglio carico di convinzione da chi, prima di me, aveva vissuto quest'esperienza, continuai ad allattarlo finché il mio Emilio compì 15 mesi; allora con i primi dentini mi lanciò "dolorosi messaggi" che mi fecero desistere.

Ma la magia di quel meraviglioso periodo resterà sempre nella mia anima e , sono sicura, anche in quella del mio eccezionale, stupendissimo bambino.
M.F., Brescia