Avevo appena iniziato l’ottavo mese di gravidanza ma un’epatosi gravidica e la pressione alta fecero concludere tutto in anticipo con un ricovero all’ospedale dove quel giorno, con un cesareo d’urgenza, è nato mio figlio, del peso di poco superiore ai due chili, ed inevitabilmente messo in incubatrice. Oltre al dispiacere di non poter partecipare alla nascita del mio piccolo, ero seriamente preoccupata che la sua permanenza in incubatrice avrebbe significato rinunciare anche all’allattamento al seno.
Fortunatamente, mi trovavo in un ospedale che, dando molta importanza al contatto iniziale tra madre e figlio, incoraggia le donne ad allattare e ho potuto sperimentare di persona l’interesse e la disponibilità delle infermiere e dei medici. Per esempio, immediatamente prima del parto, la mia ginecologa mi rassicurò molto, raccontandomi esperienze analoghe di altre sue pazienti e spiegandomi che avrei potuto ugualmente allattare il bambino, togliendomi il latte e portandolo in pediatria.
Infatti, mentre io ero ancora a letto dopo il cesareo, le infermiere della pediatria dissero a mio marito che dovevo subito procurarmi un tiralatte per stimolare la produzione di latte. Gli diedero alcuni contenitori per il latte, gli mostrarono la saletta riservata alle mamme per togliere il latte, con tanto di soluzione sterilizzatrice per tiralatte e biberon. Inoltre, gli spiegarono come avrei potuto fare per evitare ingorghi ed altri problemi. Ho quindi iniziato a tirarmi il latte e, dopo pochissimi giorni, non c’era più bisogno di giunte di latte artificiale poiché ero in grado di fargli avere tutta la quantità necessaria.
Il quinto giorno, date le buone condizioni del mio piccolo, mi è stato permesso di aprire l’incubatrice e provare ad attaccarlo al seno. Piangendo dalla gioia, ho avuto il primo contatto con lui: era un piccolo scricciolo pelle e ossa, con tantissimi capelli e un faccino dolce dolce. Io, mamma alle primissime armi, non sapevo da dove si cominciava ad attaccare un bambino al seno, come tenerlo in braccio, cosa fare.
Fortunatamente lui succhiava con tutta la sua forza, anche se non riusciva a prendere più di cinque grammi in venti minuti! Ero molto spaventata dalla difficoltà della situazione e non riuscivo quasi a credere che prima o poi il mio piccolo avrebbe preso tutto "direttamente" da me, senza il passaggio del biberon. Potevo però contare sull’aiuto delle infermiere, che mi stavano vicino e mi facevano vedere come si doveva fare, cercando di capire quale fosse la posizione più adatta per allattare il mio bambino e come fare per stimolarlo e non stancarlo. Soprattutto, mi invitavano a non scoraggiarmi se il piccolo prendeva poco dal mio seno. L’importante era che lui crescesse e poi, diventato un po’ più robusto, tutto sarebbe andato a posto, bastava solo un po’ di pazienza e tenacia.
Dopo essere stata dimessa, ho continuato a portare il mio latte in ospedale due volte al giorno, momenti in cui continuavo il mio "training" d’allattamento con mio figlio, uscito dall’incubatrice e passato al lettino. Nonostante noi mamme e papà fossimo con il camice e la mascherina, nelle piccole "tende gialle" ognuno di noi era messo in grado di avviare bene il rapporto con il figlio appena nato. L’atmosfera del nuovo reparto era infatti serena, tranquilla e rassicurante per la discreta presenza di persone disponibili ed esperte. Tra l’altro, non dimenticherò mai la loro determinazione nell’invitare le mamme ad attaccare i loro piccoli, nel non arrendersi e cedere alla pigrizia del latte artificiale bello e pronto e facile da dare.
Di quei giorni ricordo soprattutto la sensazione di fare qualcosa di importantissimo, forse la cosa più bella che avessi fatto nella mia vita, proprio perché sentivo di contribuire alla felicità di un essere umano con i miei gesti e, inutile dirlo, con il mio latte.
Di fatto, il mio bimbo ha rapidamente raggiunto i fatidici due chili e mezzo, ed è finalmente venuto a casa con noi. Nel giro di due settimane il piccolo è riuscito a prendere tutto dal mio seno ed ho finalmente potuto salutare biberon e tiralatte.
Adesso, a tre mesi, il mio cucciolo pesa ben 5 chili e 700 grammi e non sembra assolutamente un prematuro reduce dall’esperienza dell’incubatrice. So che questo dipende molto dal mio latte e dal sostegno che ho avuto per riuscire ad allattarlo.
Penso di essere stata veramente fortunata e di dovere molto a quelle persone che, durante la mia degenza in ospedale, mi hanno aiutata ed incoraggiata.
Adesso il loro posto è stato preso dalle Consulenti de La Leche League, che mi hanno aiutata a superare le inevitabili difficoltà. Il senso di solitudine è infatti terribile e rende gigantesco ogni minimo ostacolo, ed è quindi importante poter contare su persone esperte e sensibili.