Nostra figlia decide di rompere le acque alla 35ª settimana, cogliendoci un po’ impreparati. L’ecografia a cui sono sottoposta in ospedale evidenzia che la bimba non è cresciuta per niente dalla precedente. Il medico presente mi tranquillizza dicendo che è una bimba piccola di circa due kg e questo comporterà il suo trasporto nel reparto di neonatologia di un ospedale attrezzato.
Durante la registrazione dei battiti si presenta una sofferenza; nonostante il parto proceda, si decide di intervenire con un cesareo che si attuerà direttamente nell’altro ospedale. Alla nascita la bimba pesa 1,7 kg; il suo problema è legato alla torsione del funicolo che non le ha permesso un adeguato nutrimento. L’ostinazione, il suo attaccamento alla vita ed il tempismo del ginecologo hanno permesso la sua nascita senza complicazioni. Mi sveglio dal cesareo, la potrò vedere solo il giorno successivo: la descrizione che mio marito mi fa di lei mi deve bastare.
Alle mamme con cesareo in seconda giornata portano i bambini da allattare e io vado in crisi… chiedo un tiralatte per stimolare il seno, ma mi viene risposto: "Ma perché? La sua bimba è prematura". Io chiedo: "Perché, i prematuri non mangiano?".
La mia compagna di stanza inizia ad allattare: le portano il bambino, lo appoggiano sul suo ventre; con la flebo attaccata non riesce ad attaccarlo, nessuno le spiega, il bimbo piange, la mamma piange…
Poiché sono ancora debole, mi reco in carrozzella a vedere attraverso una vetrata la mia piccola; è in incubatrice, sarà per la distanza che ci separa, ma è piccolissima e un sondino le esce dal naso, perché si pensa che non abbia il riflesso della suzione. La mia reazione è disperata, faccio fatica a riconoscere in lei l’esserino che per otto mesi è cresciuto dentro di me. Il personale del reparto di neonatologia si accorge del mio stato di crisi e mi aiuta moltissimo… Il giorno dopo, riuscendo a camminare posso entrare e toccarla attraverso le aperture dell’incubatrice.
Nel reparto esiste un lactarium, con tiralatte elettrici in cui le mamme ad orari fissi vanno a togliersi il latte… C’è tristezza, ma molta voglia di essere vicini a quei cuccioli.
Il mio primo giorno di allattamento riesco faticosamente, dopo 40 minuti, ad estrarre una lacrima di colostro; aumenta la mia crisi, ma lo porto vergognosamente al personale che, con mio stupore, si complimenta. Dicono alla mia bimba che la sua mamma le ha fatto un latte buonissimo: sono felice… Ecco che qualcosa, dietro a tante porte, vetri, mascherine, ci unisce… il latte!
La fiducia che il personale riesce a darmi mi permette di raggiungere, giorno dopo giorno, quantitativi sempre maggiori di latte, addirittura superiori a quelli che la bimba assume. Il personale mi spiega che quello in esubero viene pastorizzato e fornito ad altri bambini del reparto: il pensiero che possa servire anche ad altri mi riempie di gioia.
Il ritorno a casa non è dei più felici perché mia figlia dovrà rimanere un altro mese in ospedale. Andare da lei due volte al giorno è per me - non ancora in perfetta forma - abbastanza pesante, ma noi abbiamo un incontro ogni tre ore, quando io punto la sveglia e mi tolgo il latte che poi le porto.
Quando la piccola torna a casa pesa 2,5 kg, è confusa: l’attacco, succhia un po’ ma poi ricorda il modo di succhiare del biberon… è difficile, ho la sensazione di non farcela. Il giorno in cui ho partorito dovevo partecipare ad un incontro de La Leche League e, non potendo, ho incaricato mio marito di far acquistare in quell’occasione, da un’amica, il Manuale L'arte dell’allattamento materno, provvidenziale idea che mi ha permesso di contattare una Consulente de La Leche League a me "vicina", non solo geograficamente.
La Consulente è la persona che ha sopportato le mie ansiose telefonate dandomi consigli indispensabili per la buona riuscita dell’allattamento, ma insegnandomi anche ad aver fiducia in me stessa. Questa esperienza è sicuramente servita a mia figlia, che ha preso il latte al seno fino a 16 mesi, permettendole di recuperare in fretta la sua prematurità, e ha insegnato molto a me: è un’esperienza che non potrò mai dimenticare. Questo mi spinge a ringraziare La Leche League perché esiste, e un grazie particolare è rivolto a quella Consulente che, pur non frequentandoci e sentendoci telefonicamente ora di rado, rimarrà nei miei pensieri un’amica che mi ha ascoltato e consigliato come nessun altro avrebbe potuto fare!
E la mia bimba? Lei allatta le sue bambole e ogni tanto, quando mi spoglio, mi chiede se può succhiare dal seno un po’ di latte… Io le spiego che non ce n’è più, ma lei sostiene che pochino pochino c’è… forse ha ragione lei: nulla può far scomparire la gioia che si prova allattando, nemmeno il tempo!