Quando, alla trentunesima settimana di gestazione mi dissero che si doveva far nascere la mia bambina (soffrivo di un’improvvisa pre-eclampsia severa), mi sembrò tutto così assurdo... Ma mi diede grande fiducia e conforto passeggiare nel corridoio fuori della patologia neonatale dell’ospedale della mia città perché scoprivo, attraverso le fotografie esposte, la storia di tutti quei bambini sani e felici, nati anche molto prima della mia.

Sono riuscita ad attaccare la bimba al seno dopo un mese e mezzo dalla sua nascita e, se potessi tornare indietro, pretenderei molta più libertà nel gestire il rapporto con mia figlia dentro il reparto di patologia neonatale.
Per esempio avrei voluto, una volta dimessa la bambina dalla terapia intermedia, provare ad allattarla, senz’altro a richiesta e non ad orari, ma questo avrebbe significato sconvolgere i ritmi serrati di un reparto che mette al primo posto la salute fisica dei piccoli degenti. So comunque che quando verrà concessa una maggiore presenza delle madri sarà più facile per i bambini attaccarsi spontaneamente al seno e instaurare con la loro mamma quella relazione che ha bisogno di tempo, di tranquillità e di nessuna interferenza.

A rinforzo della mia convinzione cito un noto pediatra e psicoanalista, Winnicott: "Una percentuale di madri davvero alta potrebbe allattare al seno se medici e infermiere non interferissero, perché solo la madre può svolgere questo compito nel modo giusto. Potrà essere impedita o aiutata grazie ad un appoggio che riguardi tutto il resto. Ma non le si può insegnare. Vi sono sfumature che la madre conosce per intuizione senza alcuna valutazione intellettuale di ciò che accade e a cui può accedere solo se la si lascia tranquilla e se le viene riconosciuta piena responsabilità in questo settore specifico. Per esempio, lei sa che la base del nutrire è il non nutrire. È una specie di violenza quando un’infermiera esasperata spinge il capezzolo o il biberon in bocca al bambino e innesca un riflesso. Non c’è madre che lasciata a se stessa agirebbe così. Per molti bambini occorre un certo tempo prima di iniziare a cercare un oggetto e quando lo trovano non vogliono farne per forza qualcosa da mangiare." (tratto dal capitolo "Allattamento come comunicazione" in Winnicott, I bambini e le loro madri, Cortina Editore).

Avrei potuto lottare per modificare almeno in parte le regole del reparto, ma purtroppo non è nella mia natura e quindi ho pazientemente aspettato di portare la bimba a casa. La cosa che oggi mi appare più incredibile è che il personale paramedico non facesse altro che ripetermi: "E' molto lenta nel mangiare - era davvero la più lenta con il biberon - sarà molto difficile che si attacchi al seno". A poco a poco questa sfiducia mi contagiava, nonostante ci tenessi moltissimo ad allattarla.

La partecipazione ad un incontro de La Leche League poco prima che la bimba fosse dimessa, fu per me l’occasione di scoprire che il desiderio era realizzabile: pochissime ma incoraggianti esperienze di altre mamme di prematuri e la lettura dell’opuscolo sull’argomento me lo dimostravano.

Ho portato a casa mia figlia alla fine di gennaio del 1996; mi accingevo a darle il mio latte nel biberon e mio marito, mentre stava per uscire, mi chiese: "Ma non provi ad attaccarla al seno?" "Pensavo di farlo domani - gli risposi - con più calma." Invece, rimasta sola con mia figlia in tutta tranquillità, mi sedetti sul divano e provai ad allattarla: con mia grande sorpresa e indescrivibile emozione lei si attaccò al seno con una spontaneità che è difficile immaginare.
Entro poche ore non rispettava più nemmeno un orario di quelli che avevano ritmato la sua vita in ospedale. Dopo un’ora mangiò di nuovo: un po’ mangiava, un po’ dormiva. Furono mesi molto impegnativi; se non avessi avuto una grande disponibilità di tutta la mia famiglia - poche parole e tanto aiuto concreto - e l’affettuosa vicinanza di un’amica futura consulente de La Leche League, sempre pronta a rispondere ai miei dubbi e a suggerirmi consigli ricchi di buon senso, non so se ce l’avrei fatta. La piccola mi assorbiva quasi totalmente, faceva anche dieci pasti al giorno, la notte mangiava molto ed essendo molto piccola (nata di 1480 grammi, dimessa di 2300 grammi), di notte dormiva solo rannicchiata sulla mia pancia e, al di là della poesia che questa immagine può evocare, quando ripenso a quelle notti mi dico: "Sei stata proprio brava!"