Una mamma racconta:

Dal momento in cui ho visto le due linee blu sul test di gravidanza, ho desiderato allattare. Purtroppo, le complicazioni sono esplose nel giorno del parto.

Dal momento in cui ho visto le due linee blu sul test di gravidanza, ho desiderato allattare. Purtroppo, le complicazioni sono esplose nel giorno del parto: avevo una pre-eclampsia, un travaglio di 17 ore e un taglio cesareo d’emergenza. Pur avendo la flebo in entrata e in uscita da entrambe le mie braccia, e nonostante non avessi mai preso in braccio un bambino in vita mia, non vedevo l’ora di trascorrere la prima notte con mio figlio e di allattarlo. Quando mi hanno portato in sala di rianimazione con la goccia che scendeva nella mia flebo, il controllo della pressione del sangue e il catetere, mi sono resa conto che non potevo assolutamente muovermi. L’ostetrica entrò e disse: “Se stasera vuoi riposare possiamo dare noi al bambino del latte artificiale”. Io avrei voluto urlarle di no, e invece ho semplicemente detto: “Grazie. Lo so che lo fate per il mio bene, ma sono fermamente intenzionata ad allattare il mio bambino”

Per cinque giorni finché eravamo in ospedale ho allattato al seno, poi per altri sei giorni a casa. Prendevo una tonnellata di farmaci per l’ipertensione e stavo assumendo anche potenti antidolorifici dopo il cesareo. Poi si è sviluppata un’infezione dopo l’altra e ho dovuto fare anche due cicli di antibiotici. Una notte ho avuto la febbre alta ed avevo la testa leggera, sudavo, avevo i brividi gelati. Ho ricordi nebbiosi di mia madre e mio marito che mi mettevano sulla testa e sul collo del ghiaccio dentro agli asciugamani.

Mia madre suggerì che io dessi la formula al bambino, di modo che lei e mio marito potessero occuparsi di lui e “fare” le notti. Ero malata,  e debole, e ho pensato: “Perché no?” Significava che avrei potuto dormire tutta la notte e tutto il giorno. Il farmaco per l’ipertensione mi rendeva molto sonnolenta. Sono anche caduta giù dalle scale, una volta, a causa della sonnolenza. Ho provato ancora ad allattare, ma non funzionava perché ero stata troppo tempo a dormire. Un biberon è diventato due, sono diventati  quattro e così via. Tutto questo è successo molto rapidamente. Dopo solo due giorni di biberon, ho visto che il mio bambino girava già la testa dall’altra parte e piangeva quando provavo ad allattarlo. Ho pensato che, ovviamente, avesse preferito il gusto della formula, che avesse preferito un capezzolo di silicone, e chiaramente che io non avevo abbastanza latte.

Quando la visita di mia madre ebbe fine, mio figlio aveva quattro settimane ed era allattato al seno solo tre volte al giorno, solo quando lui era calmo o dormicchiava. Quando era isterico, accettava solo il biberon. Sono andata avanti con il biberon , anche durante la notte, perché pensavo che se non avesse svuotato il biberon sarebbe stato sveglio ancora di più. Non mi rendevo conto che il biberon durante la notte avrebbe ridotto ancora di più la mia produzione di latte.

Un bel giorno, a circa nove settimane, il mio bambino rifiutò totalmente il seno e passò completamente alla formula. È stato straziante, per me. Dovevo fare qualcosa! Aveva già iniziato a sorriderm. Aveva tantissimi sorrisi per me e ho capito che non era solo “un” bambino, era “il mio” bambino. Lo avevo allattato e volevo continuare a farlo. Quando lo allattavo gli annusavo i capelli e guardavo il lato del suo viso per un tempo infinito fino a quando non si addormentava. Non ero mai stanca di guardarlo e parlargli.

Con la formula invece i suoi occhi erano aperti e guardavano in alto. Era il suo modo di affrontare il biberon. Molte madri hanno rinunciato, perché sono state altrettanto felici di dare la formula piuttosto che il seno, ma io non ho potuto. Avevo ed ho un bisogno molto forte di allattare. Per me è una parte integrante della maternità. Quando era stato al seno io ero stata piena di felicità e ogni volta che davo il biberon sentivo una terribile onda di tristezza e di dolore.

Ho cercato ogni tipo di libri per avere più informazioni e capire se io avrei dovuto rinunciare al seno, perché in fondo il mio bambino cresceva e era felice di prendere la formula. Ma non c’era un libro che mi desse un motivo per rinunciare al seno. Non ero pronta a svezzarlo e ho voluto il meglio per lui. Ho trovato il numero de La Leche League e l’ho appeso sopra la mia scrivania. Ho chiamato ed ho avuto molta fortuna a parlare con Anne Jobling. Ero ancora in tempo! Mio figlio aveva solo dieci settimane.

Le mie prime parole sono state “Voglio davvero, davvero allattare!” Anne generosamente mi ha dato il suo tempo e di sostegno. Le ho detto che avevo avuto un avvio molto semplice nei primi 11 giorni e non avevo riscontrato problemi con l’allattamento. Non ho sofferto di ragadi, mastite, ingorgo, o una qualsiasi delle battute d’arresto in cui incappano comunemente le altre mamme. Ero stato fortunata, ma avevo “perso”. Non allattavo più al seno ma la mia voglia di farlo era veramente forte. Non ho fatto lo sforzo di mangiare tanto bene per tutta la mia gravidanza per finire a dare a mio figlio del cibo da una lattina. E non mi sembrava giusto.

Io non detesto la formula, non penso che sia veleno. Domani, se tutto il resto fallisce ci sarà sempre la formula. Anne mi ha avvertito che ci sarebbe voluto un duro lavoro e che il successo sarebbe dipeso anche dal mio bambino. Ho capito che potevo cercare solo di fare del mio meglio. Ho iniziato il mio ritorno al seno seguendo i suggerimenti di Anne. Ho avuto fiducia in lei. Ho messo da parte ogni persona o ogni attività che sarebbe state un elemento di distrazione per i miei sforzi per tre giorni almeno. Ho evitato di fare qualsiasi altra cosa. Mio marito mi è stato vicino anche perché non ho cucinato, lavato o seguito le pulizie in quel periodo. Ho ordinato una tisana a base di erbe, e l’ho presa quattro volte al giorno. Ho mangiato pappa d’avena al mattino, ho bevuto molta più acqua. Ho iniziato offrendo il seno ogni due ore, con o senza che mio figlio avesse fame. Ci siamo quasi rinchiusi in una stanza in penombra, e abbiamo indossato per molti giorni pochi vestiti per massimizzare il contatto pelle a pelle. Erano tutti tentativi di superare il rifiuto del seno in modo graduale. A volte il mio bambino prendeva il seno, a volte gridava. Se prendeva il seno, lo ninnavo altrimenti avrebbe sputato fuori il capezzolo dopo poche ciucciate. Spesso gridava, e inarcava la schiena lontano dal seno, tanta era la sua avversione per l’allattamento. Sembrava impossibile che fosse un bambino che era stato allattato. Quando non prendeva il seno e era partito il riflesso di emissione, mi gocciolava il latte dappertutto, sui jeans, sui suoi vestiti, eppure, ironia della sorte, lui a me preferiva la sua bevanda sintetica. Ma c’era ancora speranza. Se riuscivo ad allattarlo qualche volta, forse un giorno sarei riuscita a darglielo sempre. Quando la percentuale di formual era ancora alta, allattavo al seno ma poi dovevo dare la giunta. Se non aveva poppato, allora dovevo tirare il latte col tiralatte, dopo che gli avevo dato il biberon. Ho speso un sacco di soldi per un tiralatte elettrico doppio, che poi ho potuto rivendere per recuperare parte del denaro quando non fosse più servito.

Gli davo il latte tirato nel biberon di modo che intanto si abituasse al gusto del latte materno.

Il primo obiettivo era quello di attaccarlo o tirarmi il latte almeno dieci-dodici volte nelle 24 ore. Ho registrato il tempo e il metodo di alimentazione in un quadernino (cosa che sto ancora facendo, per abitudine). Ho scritto quanti grammi di formula, sia la quantità iniziale sia l’eventuale avanzo. Il secondo obiettivo era quello di ridurre gradualmente la formula senza che il mio bambino patisse e avesse ancora da sei a otto pannolini bagnati nelle 24 ore. Ho ridotto la formula di circa 20 grammi al giorno. Dopo tre giorni ero euforica: la formula era dimezzata. Questo mi ha fatto capire che il latte materno era raddoppiato. Ho pensato che era davvero incredibile, dal momento che stavo rilattando. Ho continuato con la riduzione della formula per altri cinque giorni. Ho telefonato per dare ad Anne la bella notizia. Come al solito, è stata molto incoraggiante e pensava che avessi fatto un ottimo lavoro. Quando ho pensato che ce l’avessimo fatta, ecco un altro grave rifiuto del seno. Andò avanti per otto giorni, questa volta. Il mio bambino aveva il naso tappato e mi respingeva, sembrava impazzito. Ha urlato e urlato quando ho cercato di allattarlo, come se stessi per dargli del veleno. Latte schizzato ovunque, un pasticcio terribile. Avevo più latte e quindi ho dovuto tirarmelo anche più frequentemente. Dopo cinque giorni, ancora rifiutava di ciucciare nonostante tutti i dondolii e  gli ondeggiamenti, il contatto pelle a pelle, provare a allattare in piedi, o attaccandolo quando non aveva fame, anche nel bel mezzo di la notte: è stato tutto inutile. Ha semplicemente rifiutato. Ho chiamato di nuovo Anne. Ma lei non c’era e così chiamai una consulente professionale in allattamento. Disse di consolarlo ancora e ancora fino a che non avesse preso il seno. “Basta che tu smetta di dargli il biberon, prima o poi”. Ho replicato che non volevo farlo morire di fame. Ma quando ho detto che pesava come un macigno, rise e disse: “Tu morirai di fame, non certo lui.” Così l’ho lasciato piangere. Sono andata a confortarlo e gli ho offerto il seno. Quando si rifiutava, lasciavo perdere e aspettavo che si calmasse. Siamo andati avanti per tre giorni. Alla fine del terzo giorno, ho ricominciato un’altra volta la riduzione della formula e l’aumento dell’allattamento al seno. Cinque giorni più tardi, dopo averlo allattato, mio figlio alzò gli occhi e mi sorrise. Ero spaventata. Di solito, mi accoglieva con fastidio, irritazione, e poi dovevo preparare la giunta; quella volta lui era pieno. Non ne voleva più.

Io non ci potevo credere. Era pieno di latte materno”. Non c’era più bisogno della formula. Avevo desiderato questo momento così tanto! Eravamo tornati all’allattamento, e pienamente. Lo allatto sette o otto volte al giorno, ora, e ogni volta che ha finito la sua poppata, mi guarda fisso negli occhi e sorride del suo grande sorriso. È la sensazione più bella del mondo. Posso allattare in qualsiasi ora, in un luogo pubblico, con una sicurezza e facilità che non avrei mai potuto considerare prima. Ogni volta che allatto penso che ogni poppata è un miracolo, io sto “facendo” cibo per qualcuno, usando solo il mio corpo. Chi non ha mai (o non può) allattare non capisce la sua magia. Sono così contenta di aver messo tutto il mio impegno, il cuore e l’anima nella rilattazione. Ne valeva così la pena. Ad essere onesti, siamo stati in più di due a fare lo sforzo, non solo il mio bambino d io, ma la famiglia e, ovviamente, La Leche League. Non ci sono riuscita da sola. Mia madre e mio marito sono entrambi molto orgogliosi di me e sono commossi dai miei sforzi per dare a mio figlio il miglior inizio. Non passa giorno in cui non ringrazi Anne per il suo aiuto. Sono tanto riconoscente che qualcuno abbia capito che cosa significava per me l’allattamento.

Ivy Ngeow Davis, SW Londra, GB