• Aggiornamento su HIV-AIDS e allattamento

    di Pamela Morrison, IBCLC, West Sussex, (Inghilterra), aprile 2019

     

    Sebbene già nel 1985 si fosse scoperto che il virus può passare da madri a bambini durante l’allattamento, il consiglio generale offerto a livello internazionale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fu che l’allattamento dovesse continuare, poiché il rischio di morte in seguito al passaggio del virus dal latte materno era inferiore al rischio subito dai bambini se l’allattamento veniva interrotto1. Questa raccomandazione è stata modificata nel 1997 per suggerire che quando la formula poteva essere disponibile, sostenibile economicamente, possibile e sicura, allora il rischio per i bambini era inferiore se l’allattamento materno veniva interrotto2.

    Nel 2010 OMS e UNICEF hanno emesso nuove raccomandazioni sull’allattamento in presenza di HIV, che sono state viste come “rivoluzionarie”3. Tutte le madri positive all’HIV (HIV+) dovrebbero ricevere il proprio trattamento antiretrovirale (ART) sin dalla diagnosi, in qualsiasi momento essa si verifichi, e tale trattamento dovrebbe continuare per tutta la vita, rendendo possibile alle madri di proteggere la propria vita e di vivere una vita normale. Alla base delle nuove linee guida del 2010 c’era una ricerca che dimostrava che quando le madri ricevono il trattamento ART, la carica virale nel loro sangue poteva ridursi fino a diventare non rintracciabile. Questo significa che il rischio di trasmissione dell’HIV durante un parto vaginale può ridursi fino a <1%. E, dato molto importante, con il trattamento materno ART e sei mesi di allattamento esclusivo (il bambino non deve ricevere né cibo né liquidi eccetto il latte materno, nemmeno l’acqua) il rischio di trasmissione post partum del virus si può ridurre virtualmente a zero. Questa raccomandazione è in linea con quelle mondiali sull’allattamento al di fuori del contesto dell’HIV.

    Dopo i sei mesi di vita, era previsto che l’allattamento continuasse - con introduzione di cibi solidi - fino a 12 mesi.

    Nel 2016, l’OMS ha esteso la durata raccomandata dell’allattamento in caso di madri HIV+ fino a 24 mesi4.

    Nonostante queste linee guida, accade spesso che una diagnosi di HIV precluda l’allattamento. È opportuno sapere infatti che nell’era dei trattamenti antiretrovirali, i timori di trasmissione del virus attraverso l’allattamento sono spesso esagerati, mentre viene spesso al contrario sottostimato il rischio che comporta la nutrizione con formula.

    La British HIV Association (BHIVA) ha emesso linee guida su HIV e allattamento nel 2011, dichiarando che - sebbene il consiglio generale fosse la formula - se madri HIV+ sceglievano di allattare, avrebbero dovuto essere sostenute nel farlo. Queste linee guida sono state riviste nel 2014 e nel 2017, e alla fine del 2018, dopo una consultazione durata più di un anno, la British HIV Association ha emesso due documenti contenenti nuove linee guida5,6. La BHIVA è stata molto chiara nel suo ultimo aggiornamento: anche se l’introduzione della formula è la prassi generale, è possibile che nel Regno Unito madri con l’HIV possano voler allattare e - se lo vogliono - allora ci sono dettagliate raccomandazioni su come supportarle.

    Nel 2013 l’American Academy of Pediatrics ha emesso delle raccomandazioni che indicavano come alle madri HIV+ che volevano allattare dovesse essere dato sostegno adeguato7. Sebbene la formula fosse descritta come la scelta iniziale, più avanti nel documento venivano indicate specifiche strategie per sostenere e informare le madri e i loro bambini.

    Le attuali raccomandazioni dall’US Centers for Disease Control and Prevention (CDC) dicono:

    “Negli Stati Uniti, per prevenire la trasmissione dell’HIV, le madri affette da HIV non dovrebbero allattare i loro neonati. Il miglior modo per prevenire la trasmissione dell’HIV a un neonato tramite il latte materno è non allattare. Negli Stati Uniti, dove le donne hanno accesso ad acqua pulita e alternative alimentari economicamente sostenibili (la formula), CDC e la American Academy of Pediatrics raccomandano che le madri affette da HIV evitino del tutto di allattare, a prescindere che siano trattate con ART e dal carico virale materno. Gli operatori sanitari dovrebbero essere a conoscenza del fatto che alcune madri con HIV possono subire una pressione sociale o culturale per allattare. Queste madri potrebbero avere bisogno di ricevere una guida su come alimentare i proprio bambini e/o del sostegno emotivo”8.

    Per chi voglia approfondire il tema dell’allattamento nel contesto dell’HIV, nel luglio 2018 la World Alliance for Breastfeeding Action (WABA), ha pubblicato un aggiornamento del loro HIV Kit, emesso originariamente nel 2012, con ricche informazioni su ogni aspetto9.

    Agli inizi di dicembre 2018, il progetto Thousand Days (Mille Giorni) ha pubblicato un articolo specificando “le cinque cose che bisogna sapere su allattamento e HIV”10.

    Da ultimo, ricordando che stiamo parlando di una situazione attuale in continuo aggiornamento, nel 2018 anche il Global Breastfeeding Collective ha pubblicato una nuova “call to action” (chiamata in azione) su HIV e allattamento11. Guidato da UNICEF e OMS, il Global Breastfeeding Collective ha invitato più di 20 importanti agenzie internazionali di donatori, policy maker, agenzia filantropiche e gruppi della società civile ad aumentare gli investimenti per l’allattamento in tutto il mondo. L’obiettivo del Global Brestfeeding Collective è un mondo in cui tutte le madri abbiano il sostegno tecnico, finanziario, emotivo e legislativo di cui necessitano per allattare.

    Il Global Breastfeeding Collective HIV e il Breastfeeding Advocacy Brief hanno pubblicato messaggi e dati molto chiari, che possono essere usati quando si condividono informazioni con i genitori e con i loro operatori sanitari:

    “Le madri HIV+ possono allattare senza conseguenze negative per la loro salute o per la salute dei loro bambini. Quando queste madri assumono farmaci antiretrovirali senza interruzione durante il periodo dell’allattamento, il rischio di trasmettere l’HIV ai loro bambini è estremamente basso”.

    “Le linee guida aggiornate di OMS e UNICEF del 2016 sull’alimentazione dei neonati e l’HIV affermano che la terapia antiretrovirale (ART) è efficace per ridurre drasticamente la trasmissione del virus durante gravidanza e allattamento. Si raccomanda fortemente che donne con l’HIV, incinte e che allattano, partecipino a programmi di cura e inizino la terapia ART per proteggere la propria salute e ridurre il rischio di trasmissione dell’HIV ai loro bambini”.

    “In situazioni in cui l’allattamento con terapia ART è consigliato, le linee guida OMS/UNICEF per una buona riuscita dell’allattamento sono le stesse di quelle applicabili a tutte le madri e a tutti i bambini: iniziare l’allattamento nella prima ora dopo la nascita, allattamento esclusivo per sei mesi e proseguimento per 2 anni e anche oltre”.

    Che cosa significa questo per le Consulenti de La Leche League? Le Consulenti che aiutano le mamme a proposito di HIV e allattamento, possono riferire loro le più aggiornate raccomandazioni per il Paese in cui vivono. Dal canto loro, le madri dovrebbero cercare aiuto, sostegno e consigli da esperti di HIV, medici, ostetriche e pediatri.

    Alla luce dei nuovi dati, non sono più consigliate misure di protezione per i bambini. Per ridurre la carica virale fino a un livello non registrabile, e quindi rendere intrasmissibile l’infezione al bambino, una donna con HIV ha bisogno di ricevere una terapia antiretrovirale completa per circa tre mesi prima del parto, e deve assumere i farmaci senza interruzioni. Nel caso in cui allatti, dovrebbe cercare aiuto per allattare in maniera esclusiva il proprio bambino per i primi sei mesi di vita, con frequenti controlli e trattamenti immediati in caso di problemi all’allattamento o al seno, e dovrebbe svezzare gradualmente quando è pronta. Il suo bambino dovrebbe ricevere quattro o sei settimane di profilassi antiretrovirale dopo la nascita, e frequenti monitoraggi del suo stato riguardo al virus HIV, per esempio, come minimo, alla nascita, a quattro settimane di età e tre mesi dopo lo svezzamento.

    È un grande privilegio aiutare una madre a raggiungere i suoi obiettivi di allattamento, e questo è tanto più vero quando si lavora con una mamma affetta da HIV. Grazie alle attuali linee guida nazionali e internazionali, l’HIV non è più una controindicazione automatica all’allattamento, ma c’è ancora parecchio lavoro da fare per diffondere le raccomandazioni aggiornate.

     

     

    Nel 1990Pamela Morrison è diventata la prima International Board Certified Lactation Consultant (IBCLC) in Zimbabwe, dove più del 30% delle donne incinte è HIV+. Pamela scrive e parla di allattamento e HIV-AIDS sin dal 1995. È stata anche membro dello "Zimbabwe National Multi-sectoral Breastfeeding Committee", si è occupata di Baby Friendly Hospital Initiative e ha lavorato allo sviluppo del World Health Organisation (WHO) Code legislation and HIV and Breastfeeding policy nazionale. È emigrata in Australia nel 2003, in Inghilterra nel 2005 e ha lavorato per la WABA per molti anni. È autrice del “2012 WABA HIV and Breastfeeding Kit” e co-autrice dell’aggiornamento del 2018.

     

    Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul sito web di LLLI https://www.llli.org/update-on-hiv-and-breastfeeding-public/ 

     

    Bibliografia

    1 World Health Organization, Special Programme on AIDS statement, Breast-feeding/Breast milk and Human Immunodeficiency Virus (HIV) WHO/SPA/INF/87.8. http://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/60788/WHO_SPA_INF_87.8.pdf (controllato il 24 novembre 2018)

    2 UNAIDS UNICEF WHO Policy Statement on HIV and Infant Feeding, Geneva 1997 (reproduced in Breastfeeding Review, 1999) https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10453706

    3 WHO 2010. Guidelines on HIV and Infant Feeding. 2010. Principles and recommendations for infant feeding in the context of HIV and a summary of evidence. 1.Breast feeding 2.Infant nutrition 3.HIV infections – in infancy and childhood. 4.HIV infections – transmission. 5.Disease transmission, Vertical – prevention and control. 6.Infant formula. 7.Guidelines. I.World Health Organization. ISBN 978 92 4 159953 5.

    http://whqlibdoc.who.int/publications/2010/9789241599535_eng.pdf

    4 WHO-UNICEF 2016, Guideline: Updates on HIV and Infant Feeding, http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/246260/1/9789241549707-eng.pdf

    5 - BHIVA 2018, British HIV Association guidelines for the management of HIV in pregnancy and postpartum 2018 (vedere pag 84 nella Sezione “infant feeding”) https://www.bhiva.org/file/5bfd30be95deb/BHIVA-guidelines-for-the-management-of-HIV-in-pregnancy.pdf

    6 BHIVA 2018, General information on infant feeding for women living with HIV https://www.bhiva.org/file/5bfd308d5e189/BF-Leaflet-2.pdf

    7 American Academy of Pediatrics, Committee on Pediatric AIDS, Infant feeding and transmission of HIV in the United States, COMMITTEE ON PEDIATRIC AIDS, Pediatrics 2013; 131:2 391-396; January 28, 2013, doi:10.1542/peds.2012-3543, Available at http://pediatrics.aappublications.org/content/131/2/391

    8 CDC, HIV and breastfeeding, https://www.cdc.gov/breastfeeding/breastfeeding-special-circumstances/maternal-or-infant-illnesses/hiv.html

    9 WABA, Understanding International Policy on HIV and Breastfeeding: A Comprehensive Resource, Second edition, published 14 July 2018, http://waba.org.my/understanding-international-policy-on-hiv-and-breastfeeding-a-comprehensive-resource/ and at www.hivbreastfeeding.org

    10 Thousand Days, 5 things you need to know about breastfeeding and HIV, December 2018 https://thousanddays.org/5-things-you-need-to-know-about-breastfeeding-and-hiv/ (controllato il 4 dicembre 2018)

    11 Global Breastfeeding Collective, ADVOCACY BRIEF, Breastfeeding and HIV

    https://www.unicef.org/nutrition/files/Global_Breastfeeding_Collective_Advocacy_Brief_Breastfeeding_and_HIV.pdf (controllato il 4 dicembre 2018).

     

  • Allattamento ed emicrania

    ALLATTAMENTO ED EMICRANIA

     

    di Katia Agostini e Annalisa Venturini - Consulenti de La Leche League Italia

    Emicrania o meglio emicranie

    La maternità ci porta spesso ad affrontare e gestire cambiamenti che riguardano la nostra vita e il nostro corpo ai quali non sempre arriviamo preparati.
    L'arrivo di un bambino o una bambina e il suo accudimento sono per ogni madre una nuova ed impegnativa esperienza. A chi convive con episodi di emicrania (con o senza aura) è richiesto uno sforzo ulteriore: gestire la propria salute e spesso dei farmaci, facendo al contempo ciò che è meglio per il proprio bambino.
     
    L'emicrania fa parte della vita di molte persone, fino al 20% delle donne, e può condizionare le nostre attivita' anche per diversi giorni. Il dolore pulsante (legato alla vasodilatazione), associato a volte a nausea, vomito, alla sensibilità a luce e suoni, talvolta con auree e variazioni della vista, sono decisamente debilitanti e limitano notevolmente le nostre azioni di ogni giorno.
     
    Quando si ha una bambina o un bambino piccolo e arriva un attacco di emicrania, la giornata può essere estremamente difficile! Non sottovalutare le possibili conseguenze di un'emicrania trascurata è importante per evitare stress per la madre e il bambino, mancanza di sonno, depressione e persino disidratazione e carenze nutrizionali se all'emicrania si associano episodi di nausea e vomito1
     

    Curarsi

    Durante la gravidanza gran parte di chi soffre di emicrania trova un certo sollievo: gli elevati livelli di estrogeni e di oppioidi endogeni aumentano la soglia del dolore e i livelli ormonali si stabilizzano eliminando uno dei fattori negli attacchi. In generale l'emicrania senza aura migliora più dell'emicrania con aura. Dopo il parto, in particolare durante il primo mese, circa la metà delle neo mamme è soggetta al ritorno degli attacchi di emicrania2
    L'allattamento, grazie ai livelli di estrogeni stabili, sembra esercitare un effetto protettivo contro la ricomparsa degli attacchi, anche se ciò può non esser vero per ogni mamma. Indipendentemente dai livelli ormonali, la mancanza di sonno, la preoccupazione e il ritmo imprevedibile dell'essere neomamme possono essere fattori scatenanti dell'emicrania per molte donne.
    La capacità di allattare non sembra essere influenzata dall'emicrania e nel confronto con le madri che offrono la formula si nota anzi un effetto protettivo dell'allattamento.
    Non diamo quindi per scontato di dover soffrire in silenzio perché stiamo scegliendo di allattare il nostro bambino: non è la soluzione migliore per nessuno!
    Potrebbe essere utile, già prima della nascita, lavorare con il proprio riferimento sanitario per decidere un piano che tenga sotto controllo le emicranie e sia allo stesso tempo sicuro per il bambino fino allo svezzamento. 
    Gli approcci nella ricerca di soluzioni all'emicrania possono essere diversi, con o senza uso di farmaci. Entrambi possono portare a risultati positivi ma è importante che ogni madre abbia la possibilità di trovare la soluzione più adatta a lei.È allora fondamentale consultare un medico per trovare una terapia personalizzata.
    Sebbene negli ultimi anni siano stati realizzati diversi studi e prodotti dati 3,4 sulla compatibilità di molti dei farmaci utilizzati per contrastare l'emicrania, spesso permangono forti convinzioni che aumentano le pressioni sulle madri e le spingono ad evitare di curarsi in gravidanza ed allattamento. Può succedere però anche di trovare opinioni contrastanti tra operatori sanitari sull'utilizzo di medicinali e questo può creare insicurezza.
     
    E’ possibile fare riferimento a dati e ricerche per aiutare la madre e il medico a trovare soluzioni a seconda delle situazioni. Ricordiamo che il centro antiveleni di Bergamo, disponibile telefonicamente al numero 800 883300, attivo 24 ore al giorno, sette giorni su 7, offre indicazioni sull'uso e la sicurezza dei farmaci in allattamento. Trovate informazioni anche alla pagina Dove posso trovare informazioni sulla compatibilità dei farmaci con l’allattamento? del nostro sito.
    È bene essere assertivi al momento in cui si programma o costruisce col medico un percorso che concili il trattamento dell'emicrania con l'allattamento, perché in questo modo si può riuscire a rendere poi più semplice la nostra vita quotidiana di mamme che allattano.
    Alcune pagine del nostro sito
    possono aiutarti a guidare una conversazione con il medico su come gestire un problema di salute come l'emicrania durante l'allattamento. 
     
     
    Alcune idee e soluzioni trovate da mamme che soffrono di emicrania ed allattano
    Durante una giornata di emicrania svolgere qualsiasi attività può essere una vera impresa e l'unica cosa che si vorrebbe fare è stendersi per riposare e trovare un po' di sollievo. Le esperienze di tante donne che elenchiamo qui sono come sempre soggettive ma possono offrire spunti ed idee da provare.
    Molte parlano della necessità di prestare attenzione ai trigger, ovvero i fattori scatenati dell’emicrania variabili per ognuno.
    Possono essere ormonali e quindi legati per esempio al ciclo o all'assunzione della pillola anticoncezionale oppure non ormonali come saltare un pasto o spesso la disidratazione. Anche il consumo di alcool, fumo, insonnia, riposo disturbato o anche emozioni intense come rabbia, pianto, la luce forte o riflesso luminoso sono scatenati per alcune persone. Per riconoscerli per molte donne è stato utile tenere un diario del mal di testa dove annotare attività e abitudini quotidiane.
    Intervenire non appena si sente iniziare il dolore, aiuta anche quando c'è un dolore di bassa intensità e mantiene la situazione più accettabile evitando un peggioramento.
    È importante vedere un medico se si ha la necessità di un farmaco che funzioni per l'emicrania: alcuni antidolorifici da banco dopo un po' di tempo possono causare emicrania " di rimbalzo".
    Rimedi non farmacologici che si sono dimostrati utili per alcune mamme:
    Nel momento dell'emicrania:  un tè allo zenzero, una bibita fredda, applicare freddo sulla fronte e sul collo, dormire almeno 30 minuti.
    Altre pratiche che sono state utili per alcune mamme sono: agopuntura o esercizi di yoga, stretching, respirazione e tecniche di rilassamento che risultano più efficaci se esercitati quotidianamente anche a scopo preventivo.
    Cercate l'aiuto di qualcuno disponibile ad occuparsi del bambino mentre ci si riprende. Se non trovate nessuno usate o create una stanza sicura per quei momenti. Per esempio in camera da letto riducendo al minimo pericoli e preoccupazioni per il bimbo e riposate con lui INSIEME a voi finchè non si sta meglio o c’è qualcun'altro che vi venga in aiuto.
     
    Cercate di tenere occupato il bambino, mettete un po' di musica, accendete la TV o mettete su un film,  usate un audiolibro, e mano a mano che crescono parlate e spiegate loro come vi sentite e cosa possono fare o come giocare vicino a voi o svolgere altre attività mentre voi vi prendete qualche istante: i bambini sono in grado di sorprenderci con la loro capacità di empatia, a qualsiasi età.
     
    Trovi ulteriori informazioni anche nel documento "Allattamento e promozione della salute materno-infantile: focus sulla salute mentale" alle pg 27 e 28
     
    Riferimenti bibliografici
    1. Amundsen S, Nordeng H, Nezvalova-Henriksen K, Stovner LJ, Spigset O. Pharmacological treatment of migraine during pregnancy and breastfeeding. NatRev Neurol. 2015 Apr;11(4):209-19.
    2. Allais, G., Chiarle, G., Sinigaglia, S. et al. Migraine during pregnancy and in the puerperium. Neurol Sci 40, 81–91 (2019). 
    3. Davanzo R, Bua J, Paloni G, Facchina G. Breastfeeding and migraine drugs. Eur J Clin Pharmacol 2014 Nov;70(11):1313-24.
    4. Wells RE, Turner DP, Lee M, Bishop L, Strauss L. Managing migraine during pregnancy and lactation. Curr Neurol Neurosci Rep. 2016 Apr;16(4):40.

     

     

    Puoi approfondire questo argomento contattando una Consulente de La Leche League.

  • Allattare con una disabilità

    L’allattamento ha benefici particolari per una mamma disabile

    Diventare mamma quando si ha un handicap non è scontato. Una donna disabile che desidera avere un bambino si scontra con tanti pregiudizi radicati, con paure, con tabù… e questo sia da parte di chi le sta attorno, sia da parte dei professionisti della salute.

    Rischia forse di trasmettere la sua disabilità al bambino? Sarà in grado di portare avanti una gravidanza e di partorire? Sarà capace di occuparsi di un bambino? Ed altrettante sono le domande tacite che le rimandano gli sguardi degli altri.

    Tuttavia, se rimane incinta e se afferma anche di voler allattare, in molti, anche qui, cercheranno di dissuaderla. Rischia di affaticarsi inutilmente, meglio che lasci che siano gli altri a prendersi cura del suo bambino. E in ogni caso, con la sua disabilità, l’allattamento probabilmente sarà difficile. Perché allora impazzire con l’allattamento? E via così.

    I vantaggi

    In realtà, oltre a tutti i vantaggi ben noti dell’allattamento per la salute del bambino e della mamma, l’allattamento ha particolari benefici per una mamma disabile.

    Innanzitutto, allattando, la mamma fa una cosa che nessun altro può fare per il suo bambino, e questo non può che rinforzare la sua autostima, la sua fiducia in se stessa in quanto madre, ed il legame con il suo bambino. E questo è tanto più significativo quanto la sua disabilità le impedisce di prendersi cura del suo bambino sotto diversi aspetti. Come dice Florence, una mamma: “L’allattamento mi ha aiutata a creare un legame con mio figlio, perché in questo nessuno poteva sostituirmi.”

    Inoltre, il fatto stesso di riuscire ad allattare è spesso considerato come un atto riparativo rispetto al proprio corpo vissuto come “incapace”. Ed è questo che alcune madri esprimono quando dicono: “Rimango stupita quando vedo ciò che il mio corpo riesce a fare”. Oppure “Tutto questo, il mio corpo malconcio è riuscito a farlo”.

    Infine, l’allattamento può essere importante in quanto evita la fatica (non fosse altro perché si può allattare da sdraiate…), lo stress, ed è più comodo del biberon: una donna senza braccia o che non riesce a muoverle non può né preparare né dare un biberon, ma può allattare.

    Le sfide

    Naturalmente, l’allattamento con una disabilità necessiterà, a seconda del caso, di aggiustamenti particolari, di trucchi e strategie diverse, di aiuti più impegnativi.

    Per esempio, una mamma cieca avrà bisogno d’aiuto per le prime poppate, per imparare a mettere il bambino al seno nella posizione adatta, per imparare a valutare se il bambino stia poppando correttamente, eccetera. E se dovrà utilizzare un tiralatte, qualcuno dovrà insegnarle come montarlo, smontarlo e pulirlo.

    È qui che misuriamo l’importanza del sostegno, da qualunque parte arrivi: dai professionisti della salute competenti (questo è molto importante durante la permanenza in ospedale, per un buon avvio dell’allattamento), da altre madri in situazioni analoghe (per esempio il ruolo del gruppo delle madri cieche al Centro di protezione materno-infantile di Parigi). E più di tutto, forse, il sostegno costante di qualcuno molto presente in casa (partner, nonna, sorella, zia…) , senza i quali, dice Sylvie, “...avrei probabilmente mollato ed è lì che loro per me sono stati un aiuto prezioso”.

    Come una mamma qualunque

    In conclusione, nella maggior parte dei casi le domande ed i dubbi di una mamma disabile riguardo l’allattamento sono gli stessi di qualsiasi altra mamma. Come ha detto Delphine, una mamma, “Una donna disabile affronta le stesse difficoltà e gode degli stessi vantaggi di tutte le altre donne”.

    Quando l’allattamento termina anzitempo, in genere ciò non è da attribuire alla disabilità, ma al fatto che la donna non era in possesso di informazioni corrette e le mancava il sostegno di base.

    E quando invece l’allattamento va bene, è perché la donna, come Florence, ha cercato e ha trovato le informazioni ed il sostegno.

    Claude Didierjean-Jouveau

    Tradotto da: Allaiter aujourd'hui n.76, LLL France, 2008. Revisionato novembre 2019


    A questo link potete trovare informazioni (in francese) https://www.lllfrance.org/vous-informer/votre-allaitement/situations-particulieres/1814-allaiter-avec-un-handicap.

    A questi link approfondimenti (in inglese) su allattare con malattie croniche:

    What Breastfeeding Taught Me about being a Mother- Breastfeeding and Fibromyalgia,

    My Experience with Fibromyalgia and Breastfeeding.

     


     

    “L’allattamento è più frequente nelle madri cieche, e questo non soltanto perché dare il biberon per loro rappresenta una difficoltà maggiore, ma perché questa forma di accudimento permette una maggiore attenzione al bambino grazie alla sua vicinanza corporea. L’allattamento prolunga le sensazioni tipiche della gravidanza, alla donna dona il beneficio di uno scambio olfattivo reciproco e contribuisce a farla sentire a suo agio nella sua condizione di mamma nonostante la cecità. Gli allattamenti delle madri cieche di solito durano oltre il primo anno di vita.”

    Edith Thoueille, Drina Candilis, Michel Soulé, Martine Vermillard, La maternité des femmes aveugles, La psychiatrie de l’enfant 2006; 49(2) : 285-348

     


    ATTENZIONE: Il Manuale L'arte dell'Allattamento de La Leche League è stato letto a voce alta per le mamme cieche. Lo potete richiedere all'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti sul sito https://www.uiciechi.it/ 

     


    Tutti gli incontri de La Leche League sono aperti a tutte le mamme! Cerca la Consulente più vicina a te www.lllitalia.org/contattaci/cerca-una-consulente-in-zona.html.

     


  • Informazioni e testimonianze sull'allattamento e miopia

    Essendo La Leche League un’organizzazione internazionale, le Consulenti italiane hanno più volte cercato informazioni da fonti scientifiche internazionali sul problema della miopia, e più volte è stato sottolineato che non sono stati effettuati studi perché il problema non esiste. Vista però l’importanza di affrontare questo tema in Italia, soprattutto perché le mamme ci hanno interpellato varie volte sull’argomento, abbiamo cercato di raccogliere informazioni e testimonianze attingendo a fonti scientifiche italiane, le uniche disponibili. Queste informazioni ci fanno capire che la miopia non è una controindicazione per l'allattamento, anche se durante il decorso post-parto può verificarsi un edema transitorio che peggiora temporaneamente la vista.

    Durante i contatti avvenuti negli anni seguenti con altre Consulenti e mamme, divenne evidente che alcune donne(non solo quelle miopi, ma anche quelle che hanno problemi di presbiopia, astigmatismo e altri difetti, nonché quelle che fino a quel momento vedevano benissimo) possono avere problemi diversi con la vista, a volte preoccupanti, in quei primi giorni dopo la nascita del figlio: ma può succedere anche se non allattano. Le cause e gli effetti, comunque transitori di natura, sono dovuti ai grossi cambiamenti ormonali di quel periodo, e non direttamente all'allattamento, conseguenza naturale del parto. Il testo per operatori di N. Mohrbacher e J. Stock, Allattamento al seno: il libro delle Risposte(La Leche League Italia2006) afferma: “A volte la donna miope riscontra un peggioramento nella sua miopia dopo alcuni mesi di allattamento. La miopia, per tutto l’arco della vita, è soggetta a un aggravamento progressivo, e questo non si verifica solo nella donna che allatta, ma anche, nella stessa proporzione, nelle donne che non hanno allattato o in quelle di pari età che non hanno figli. Inoltre, nell’immediato puerperio si verifica talvolta un peggioramento dell’acuità visiva, dovuto a situazioni temporanee di edema; questi casi hanno natura transitoria. Pertanto, allo stato attuale delle conoscenze, per la madre miope non ci sono motivi per astenersi dall’allattamento al seno”.

    E non bisogna dimenticare che ogni donna è diversa! La grande maggioranza delle donne non sperimenta nessuno di questi problemi. Ognuno di noi reagisce in modo diverso, e ogni gravidanza o figlio ci trova diversi.

    Le seguenti testimonianze rappresentano questa varietà di esperienze.

    Quando, dopo tre giorni dal parto cesareo, cominciai a togliermi il latte per la mia bimba nata prematura, con grande spavento mi accorsi che entro poche ore la mia vista era molto disturbata e gli occhiali non miglioravano assolutamente la mia difficoltà visiva. Il ginecologo mi disse: "Se avessimo saputo che eri miope non ti avremmo fatto allattare"; ma io volevo allattare, ho continuato a togliermi il latte e, nel giro di un mese la vista mi è tornata uguale a prima. Ora so che è normale che l’allattamento possa temporaneamente alterare la visione.

    A.U.– Pubblicato in Da mamma a mamman°55, primavera 1999

    Quando ho iniziato ad osservare che la mia vista (già ero miope) peggiorava (ed in molti dicevano "è l’allattamento"), ho chiesto ad una Consulente l’opuscolo sulla miopia, e l’ho letto: in esso si nega qualsiasi relazione fra miopia ed allattamento.
    Però la mia vista calava ancora. Ho pensato "Aarà la stanchezza", e sono andata avanti.
    Quando però mi sono accorta che ci vedevo sempre meno, ho iniziato a dubitare di quanto scritto nell’opuscolo, e sono finalmente andata da un oculista, che mi ha detto che la mia vista forse sembrava calata, ma il mio difetto di vista era rimasto lo stesso (-0,50 diottrie a sinistra, -0,25 a destra): io sono leggermente miope, tanto quanto lo ero prima. Come è possibile, se io vedo peggio? Ecco la spiegazione dell’oculista: quello che è cambiato è certamente la "capacità di accomodamento" dei miei occhi, cioè la capacità degli occhi di compensare (con la muscolatura) un difetto della vista, alterandolo. Questa diminuzione della capacità di accomodamento era senza dubbio dovuta all’allattamento (anche mia madre diceva che "Allattando la miopia aumenta, ma poi torna a diminuire") ma fortunatamente è temporanea: sono muscoli stanchi, che quando si smette di allattare si riposano e tornano a lavorare quanto prima.
    Insomma, la sostanza è che senza occhiali (non li ho quasi mai portati) ci vedo meno di prima (è come se vedessi con tutto il mio difetto di vista, senza attenuazioni), ma con gli stessi occhiali di prima vedo bene quanto prima, e quando non allatterò più tornerà tutto come prima; quindi sì, è vero che non c’è relazione tra aumento della miopia ed allattamento come diceva l’opuscolo, ma fra la visione senza occhiali della miope ed allattamento una relazione c’è: si può vedere peggio di prima, anche parecchio. L’importante è portare gli occhiali, ed anche la certezza che è una cosa soltanto temporanea.

    M.A.– Pubblicato in Da mamma a mamman°55, primavera 1999

    Ho una miopia molto elevata (-10 occhio destro e -13 occhio sinistro) e un cheratocono alla cornea. Per questo mi è stato proibito di allattare i miei primi 2 figli. Quando l’oculista mi ha detto che potevo allattare, visti i nuovi orientamenti, mi sembrava troppo bello, ma impossibile. Poi sono andata ad un incontro della Lega per l’allattamento e grazie anche all’opuscolo sulla miopia mi si sono dileguati tutti i dubbi. Ho allattato mio terzo figlio e la miopia non mi ha dato problemi. Grazie agli incontri de La Leche League, che mi hanno aiutata tanto ad essere più serena e consapevole.

    G.S.D.– Pubblicato in Da mamma a mamman°55, primavera 1999

    Vorrei raccontarvi la mia esperienza di madre che ha allattato pur essendo piuttosto miope. Infatti porto gli occhiali dall’età di sei anni e mi mancano all’incirca 5 diottrie per occhio!
    Dal 1994 non ho più cambiato i miei occhiali, eppure nel 1995 ho avuto mia figlia e l’ho allattata per un anno. Qualche mese dopo aver concluso l’allattamento sono andata a farmi dare un’occhiata(!) ed è risultato che non avevo perso nulla della mia vista, e dire che un oculista da me interpellato mi aveva consigliato di non allattare per più di tre mesi. Non riesco neanche a pensare a quello che avrei perso se gli avessi dato retta.
    Nel tempo molte donne sono state messe di fronte ad una drastica alternativa: o allattare o continuare a vederci come prima.
    Non c’è bisogno di essere cosi drastici però, dal momento che anche lo studio continuo può far abbassare la vista, senz’altro molto più di frequente che l’allattamento al seno, eppure nessuno ci ha mai detto di non studiare!
    Infatti ad abbassare la vista contribuiscono molto di più lo stress e le cattive abitudini nell’atto della visione.

    I.A.– Pubblicato in Da mamma a mamman°55, primavera 99

    Questa è la mia storia di mamma con una miopia molto elevata, che non ha esitato ad allattare malgrado diversi pareri discordi. Durante la gravidanza ero ormai convinta che non avrei mai potuto allattare al seno il mio bambino a causa della mia forte miopia (circa 15 diottrie compreso l'astigmatismo). Ma al settimo mese di gravidanza il caso ha voluto che, mentre frequentavo il corso preparato al consultorio della mia zona, sono venuta a conoscenza dell'esistenza de La Leche League. Ho pensato che forse loro avrebbero potuto darmi un parere. Così alcuni giorni dopo ho telefonato e ho parlato con una persona molto gentile che mi ha rassicurato dicendomi che avevano prova di diverse persone con miopia molto elevata che avevano allattato senza avere avuto problemi. Mi sono in seguito rivolta ad un professore universitario che aveva condotto degli studi in passato proprio sulla relazione fra allattamento e forte miopia.
    La visita dell'oculista ha fugato ogni mio dubbio in proposito. Infatti il problema dell'allattamento al seno sussiste solo in alcuni casi di lesioni alla retina, visto che allattare richiede parecchie energie (e nemmeno su questo le opinioni sono tutte concordi – vedere articolo che segue. NdR). In ogni modo il problema esiste anche durante la gravidanza perché il feto richiede molte sostanze nutritive ed inoltre il corpo della mamma è sottoposto a tante modificazioni non indifferenti, di tipo fisico e ormonale.
    Al terzo mese di allattamento mi sono rivolta ad un altro oculista per controllare che tutto fosse a posto ed ho avuto modo di apprezzarne la bravura. Anche secondo lui, l'allattamento al seno non comporta alcun problema ad una donna con miopia molto elevata, a meno che non ci sia già qualche problema di retina, qualche carenza nutrizionale o una forte anemia. Comunque dopo quattro mesi di allattamento al seno posso dire di non aver avuto problemi di vista. Sono molto felice di allattare il mio bambino, ed anzi penso con rammarico al giorno in cui dovrò smettere, spero il più tardi possibile. Credo che allattare al seno sia un'esperienza bellissima che va vissuta il più serenamente possibile. è un magnifico contatto tra mamma e figlio, che rende questo rapporto unico.

    L.B.– Pubblicato in Da mamma a mamman°55, primavera 1999

    Ho avuto problemi degli occhi dall'età di 19 anni: pars planitis, una forma di uveite, che mi comporta un edema maculare (cioè edema nella retina al punto di visione centrale). Ho partorito naturalmente tutti e tre i miei figli, e li ho allattati per parecchio tempo. Nessun medico mi ha mai detto nulla di contrario né all'allattamento né al parto naturale. In questo momento c'è una lesione nella mia cornea che potrebbe portare eventualmente a un distacco della retina (un problema nuovo e diverso da quello precedente), e continuo ad allattare tranquillamente. So che i problemi della retina possono essere molto particolari ed avere un gran numero di cause. Nel caso mio, ho scoperto che i sintomi spariscono durante la gravidanza e ritornano pochi giorni dopo il parto. Non ho mai attribuito questo direttamente all'allattamento, ma piuttosto al fatto che, durante la gravidanza, il livello elevato degli ormoni della ghiandola surrenale agisce per sopprimere l'edema; quando il bambino nasce questi ormoni calano. Questo succederebbe comunque, che io allattassi oppure no. Per il problema della retina ho bisogno a volte di steroidi; durante il periodo dell'allattamento questi possono essere somministrati tramite un'iniezione locale. Nei periodi di remissione, quando non soffro di pars, ho una visione quasi perfetta.

    H.L.P. - Pubblicato in Da mamma a mamman°55, primavera 1999

    Ho una miopia molto elevata: otto diottrie mi mancano dall’occhio destro e nove dal sinistro (porto le lenti a contatto), per cui sistematicamente mi reco dall’oculista per un controllo. Per fortuna, dall’età di 20 anni fino alla soglia della prima gravidanza la mia vista non era peggiorata. Ora, dopo la nascita di Pietro, un anno di allattamento, un solo anno di sosta, quindi la gravidanza di Alberto, tre anni e mezzo di allattamento che è terminato quando già avevo iniziato la mia terza gravidanza (periodo in cui ho continuato ad effettuare ripetuti controlli), la mia vista è rimasta stabile al punto che l’oculista, proprio recentemente, in occasione di una visita, mi ha detto: "Continui così, evidentemente gravidanza e allattamento le fanno bene alla vista!"
    Sono molto soddisfatta di questo, per cui ho voluto raccontarvelo

    I.R.– Pubblicato in Da mamma a mamman°42, inverno 1995

    Pochi minuti fa (sono le 22,30), mentre allattavo la mia piccola Chiara di 8 mesi e 10 giorni, lei improvvisamente (non lo fa mai) ha smesso di poppare e si è fermata ad osservare il mio viso e i miei occhi, assorta, con un mezzo sorriso sulla boccuccia sporca di latte. Ti giuro che questi minuti così intensi mi hanno ripagato di tutte le notti in cui si svegliava ogni ora per mangiare (e ce ne sono state davvero tante). E pensare che io ero una "miope che non doveva allattare"!!
    Mentre ero incinta pensavo: be’, almeno per il primo mese, il colostro, devo darle il mio latte. Poi il parto d’urgenza, per sofferenza acuta; la mia piccola che, pur sanissima, non aveva imparato a succhiare bene, metteva la lingua contro il palato e riusciva a bere solo col biberon. Ed io, con i miei sensi di colpa (ma era colpa mia?) e il latte che non arrivava.
    Il primo mese è passato, ancora uno continuavo a dirmi, ed eccomi qui.
    Al controllo effettuato dopo sette mesi di allattamento, la mia miopia era come prima della gravidanza.

    A.M. . Pubblicato in Da mamma a mamman. 40, estate 1995

    Mi ricordo ancora il giorno in cui, più di dieci anni fa, sentii per la prima volta parlare del supposto collegamento fra l'allattamento al seno e la miopia. Una Consulente italiana che era venuta a trovarmi sapeva che stavo ancora allattando il mio bambino, ormai non piccolissimo. Quando scoprì che portavo le lenti a contatto, mi chiese subito se fossi miope. Risposi di "sì". Volle sapere se avessi riscontrato un peggioramento della vista durante l'allattamento. Mi spiegò che in Italia si sentiva spesso dire che la miopia peggiora quando una donna allatta al seno i figli.
    Più tardi, in occasione delle attività da me svolte con la Lega nel mio Paese e in vari Paesi Europei, ebbi modo di chiedere alle mamme che portavano gli occhiali se fossero miopi e se la loro vista fosse peggiorata durante l'allattamento. Come me, erano tutte sorprese dall' idea che potesse esserci una correlazione fra le due cose. Sembra evidente che ciò sia frutto di una infondata credenza popolare italiana che non si incontra da nessun'altra parte del mondo. Per quanto mi riguarda, la mia miopia non è peggiorata dal tempo in cui, adolescente, ebbi le prime lenti a contatto. (D'altra parte, la miopia di mio marito aumenta ogni anno. Spero che nessuno dica che la sua vista è peggiorata poiché io ho allattato al seno i nostri due figli!).

    H.S.– Pubblicato in Da mamma a mamman°33, autunno 1993

    Posso dire di essere miope da sempre, poiché ho messo gli occhiali all'età di cinque anni e, ovviamente, di lì in poi la mia vista è progressivamente calata, fino alle mie 8-9 diottrie di oggi.
    Fin da ragazzina una delle cose che mi sentivo dire con più rammarico sulla mia situazione era: "Peccato, dovrai stare attenta a non fare tanti bambini, e poi non potrai allattarli!"
    Non so come mai, ma quando lo scorso anno sono rimasta incinta, l'ultima cosa che mi preoccupava era proprio la miopia: forse perché dopo tanti anni, questa condizione per me costituiva la normalità assoluta.
    La mia ginecologa, però, non la prese altrettanto alla leggera, perché temeva che sia il parto per via naturale, sia l'allattamento, potessero compromettere ulteriormente la mia vista. Su suo consiglio, quindi, mi sottoposi ad un'accurata visita oculistica per verificare la presenza di eventuali lesioni alla retina.
    Per fortuna la visita non evidenziò nulla di anormale: mi fu solo raccomandato di tenere la situazione sotto controllo con un'altra visita dopo alcuni mesi, o dopo il termine del periodo di allattamento.
    Una volta nato il bimbo, man mano che il tempo passava, la mia determinazione nell'allattare si rafforzava sempre di più, anche perché effettivamente non notavo nessun peggioramento sensibile della mia capacità visiva.
    Passati circa undici mesi, anche se il periodo di allattamento non era ancora terminato, ho deciso comunque di sottopormi alla visita di controllo, anche perché in ogni caso, allattando ormai solo due volte al giorno circa, l'impegno "fisico" non era più quello dei primi mesi.
    Per l'occasione, contrariamente a quello che avevo sempre fatto, mi sono rivolta ad uno studio privato (in passato mi ero sempre recata presso le strutture pubbliche), pensando che il "trattamento" sarebbe stato migliore.
    La dottoressa mi chiese subito per quanti mesi avevo allattato e, quando risposi che allattavo ancora, mi fece un'autentica lavata di capo. Quando, misurandomi gli occhiali, vide che erano di 7 e 8 diottrie, mi disse addirittura che lei non mi avrebbe nemmeno lasciato iniziare, al massimo quaranta giorni - un mese, nel caso che il bambino fosse nato d'estate (questa, tra parentesi, mi giungeva proprio nuova: cosa c'entra la stagione?). Devo dire che nonostante le mie convinzioni circa l'allattamento, mi preoccupai un po' di aver esagerato, di aver sbagliato: dopo tutto, quando a parlare è un medico, si è portati a dargli fiducia, a dare credito a ciò che dice... se no, che senso ha andarci?
    Prova ne era che dalla visita risultò che, anche se la retina non aveva subìto lesioni, la vista era invece calata: da 7 diottrie all'occhio destro e 8 al sinistro ero arrivata a 8 al destro e 9 al sinistro... me ne andai così un po' triste e con qualche sicurezza in meno, anche se la cosa che mi interessava di più era non avere lesioni alla retina (una diottria in più o meno al punto in cui sono...).
    Tutto si chiarì poi, quando mi recai dal mio solito ottico per cambiare gli occhiali: mi spiegò che in realtà già da vari anni avevo 8 e 9 diottrie, solo che, per una serie di problemi diciamo "tecnici", avevamo optato (di questo particolare mi ero completamente dimenticata) per degli occhiali lievemente più "leggeri". Tutto si era chiarito!

    B.V. - Pubblicato in Da mamma a mamman°33, autunno 1993

    Avevo telefonato alla Consulente de La Leche League per la mia miopia. L'oculista mi aveva detto che un eventuale problema per la retina poteva essere causato dagli sforzi del parto, non dall'allattamento. Aveva concluso che potevo allattare per due mesi, poiché successivamente, aveva aggiunto con la solita competenza, il latte non ha più valore immunitario (Non è vero! NdR). Ora che sono passati alcuni mesi, e che sto ancora allattando, scrivo per ragguagliarti sulle ultime notizie oculistiche. Sono stata dall'oculista e, qualche giorno fa, anche dal mio ottico di fiducia, quello che mi ha sempre fatto i controlli per le lenti a contatto. L'oculista ha riscontrato una perdita di circa mezza diottria in ciascun occhio rispetto al dicembre 1991 quando, durante la gravidanza, avevo fatto il controllo (allora era di 7.50 e 8.00 diottrie). L'oculista non ha attribuito la perdita all'allattamento, anche quando gli ho riferito che allattavo ancora. Mi ha detto che non è provato alcun nesso.
    Anche l'ottico ha notato la leggera perdita e, dato che dovevo cambiare le lenti, le ha potenziate.
    Personalmente posso dire che la mia vista si è abbassata non più di quanto avrebbe comunque fatto. Infatti nel corso degli anni io ho sempre notato un leggero, graduale peggioramento, magari non così evidente da obbligarmi a sostituire le lenti. Non mi sono mai chiesta le ragioni di questa perdita. L'ho accettata e basta. Se ora gravidanza e allattamento avessero contribuito all'abbassamento di questa mezza diottria, forse avrei avuto una buona ragione per giustificare un ennesimo abbassamento visivo. Invece, probabilmente, le ragioni sono e resteranno quelle di sempre: oscure.
    E pensare che prima di conoscere La Leche League e prima di intraprendere la gratificante esperienza dell'allattamento pensavo, con un po' di rammarico, che io non avrei mai allattato!

    E.E.– Pubblicato in Da mamma a mamman°33, autunno 1993

    Ho tre figli, il primo avuto a 34 anni, il secondo a 36 e il terzo a 40. Sono miope da quando ero ragazza e fin dall'età di 18 anni portavo le lenti a contatto. Durante la gravidanza e l'allattamento dovetti rinunciare alle lenti e tornare agli occhiali, perché la secrezione dell'occhio, probabilmente per effetto degli ormoni, si era fatta più densa e le lenti arrossavano gli occhi in maniera insopportabile. Ma a parte questo disagio, la miopia in sé non aumentò, anzi! Ho ancora il cartellino dell'oculista che mi visitò nel 1978, durante la mia prima gravidanza: miopia di -5,25 diottrie all'occhio destro, di -6,25 all'occhio sinistro. Allattai il primo figlio fino a quattro mesi completamente, fino a sette con aggiunta di pappe. Il secondo figlio, nato nel 1980, l'ho allattato per cinque mesi, proseguendo con lo svezzamento graduale fino a otto. Con il terzo, nato nel 1984, andai avanti fino a sei esclusivamente con l'allattamento al seno e fino a nove mesi con l'aggiunta di cibi solidi.
    Ma veniamo alla miopia. Dopo la nascita del secondo figlio mi sottoposi a una visita oculistica, in cui il medico riscontrò che un occhio era migliorato dello 0,25! La percentuale è minima, ma è raro che la miopia regredisca e quindi il dato è degno d'interesse. Mi misi a ridere e dissi all'oculista: "Ma la vista, con l'allattamento, non dovrebbe peggiorare ?" Mi rispose che questo è ancora tutto da dimostrare, perché in molti casi l'esperienza ha smentito questa convinzione tanto diffusa. Una terza visita oculistica condotta nel 1986, dopo la nascita e l'allattamento del terzo figlio, ha dato questi risultati: occhio destro -5,50 (quindi 0,25 di miopia in più rispetto a otto anni prima), occhio sinistro ancora -6,25. Credo si debba tenere conto del fatto che la miopia tende ad aumentare gradatamente nel tempo, per cui un aumento dello 0,25 ad un solo occhio in otto anni rappresenta veramente un incremento minimo. Dall'86 al 92, in sei anni, il mio occhio destro è arrivato a -6 diottrie, il sinistro a -6,75. Durante le gravidanze e l'allattamento, dunque, la mia miopia si era come fermata.

    M.L.– Pubblicato in Da mamma a mamman°33, autunno 1993

  • Omeostasi del calcio e perdita di calcio nelle ossa durante l'allattamento

    di Heidi J.Kalkwarf, da Breastfeeding AbstractsAgosto 1996, pubblicato in L’allattamento moderno n. 17, Inverno 1997-98.

    L’allattamento determina un grande stress del sistema regolatore del calcio nell’organismo poiché le donne che allattano perdono circa 210 mg di calcio al giorno nel latte prodotto dal seno. Le donne che allattano inoltre vivono un prolungato periodo di amenorrea post partum durante il quale sono relativamente ipoestrogeniche (ossia presentano nel sangue un’insufficiente quantità di follicolina, l’ormone il cui compito fisiologico è provocare la proliferazione della mucosa uterina prima dell’ovulazione, n.d.r.). In teoria sia la diminuzione del calcio che l’amenorrea potrebbero contribuire a determinare danni alle ossa durante l’allattamento, se non ci fossero in realtà meccanismi di compensazione fisiologica per conservare il calcio e se la capacità di assorbimento del calcio non aumentasse.

    Se il calcio sia conservato o no durante l’allattamento è stato il tema di diverse recenti ricerche. Due potenziali meccanismi di conservazione del calcio sono l’incremento del riassorbimento del calcio a livello renale (che risulterebbe dalla minore escrezione di calcio nelle urine) e l’aumentato assorbimento intestinale di calcio dal cibo. Gli studi mostrano che la minore escrezione urinaria può realmente essere un modo in cui le donne che allattano mantengono il calcio. Alcuni casi dimostrano che la conservazione renale di calcio continua per diversi mesi dopo che l’allattamento è cessato.

    È stato supposto che la quantità di calcio assunta dal cibo sarebbe incrementata, nelle donne che allattano, per venire incontro alle necessità dovute alla produzione di latte, dal momento che questo tipo di compensazione è stata dimostrata per altre specie animali durante l’allattamento e per la donna durante la gravidanza. Studi recenti hanno comunque accertato che l’assorbimento intestinale di calcio non aumenta nella specie umana durante l’allattamento. Attraverso specifiche metodiche di laboratorio (doppio isotopo costante) è stato accertato che l’assorbimento intestinale del calcio è identico nelle donne che allattano rispetto a quelle che non allattano. Curiosamente, invece, aumenti nell’assorbimento intestinale del calcio sono stati riscontrati in donne che da due mesi avevano cessato di allattare.

    È probabile che l’estrogeno giochi un ruolo importante nella regolazione degli incrementi di assorbimento del calcio; nelle donne in cui è ripreso il ciclo mestruale mentre ancora stavano allattando, è aumentato infatti anche l’assorbimento del calcio.

    Diversi recenti studi hanno accertato che le donne che allattano perdono il 4-6% del contenuto minerale osseo e della densità ossea in alcuni siti scheletrici durante i primi 3 o 6 mesi di allattamento. Questa perdita ossea non è stata associata con il calcio assunto con l’alimentazione e si verificava persino quando le donne stavano seguendo diete ipercalciche. Durante l’allattamento esse consumavano una media di 283 mg di calcio al giorno. Persino in questo gruppo di donne il calcio supplementare non preveniva la perdita ossea durante l’allattamento. In teoria donne che hanno diete povere di calcio dovrebbero beneficiare al massimo del calcio supplementare assunto. Sono in corso ulteriori studi per definire se l’integrazione di calcio possa aiutare o meno a ridurre al minimo la perdita ossea nelle donne di razza caucasica, che sono ad alto rischio di osteoporosi.

    Sebbene le ossa si impoveriscano durante l’allattamento, la casistica recente indica che gran parte di questa perdita viene recuperata dopo lo svezzamento.È probabile che il ripristino delle funzioni ovariche post partumfavorisca questo cambiamento nelle ossa. Donne che allattano interamente al seno e per le quali riprende il ciclo mestruale sei mesi dopo il parto, hanno un minore calo netto della componente minerale ossea rispetto a quelle che allattano ancora in condizioni di amenorrea in quello stesso periodo. Il ripristino fisiologico osseo dopo lo svezzamento o la ripresa del ciclo mestruale sembrano accadere rapidamente. Interesse è stato espresso riguardo al recupero dello stato fisiologico delle ossa in donne che restano incinte poco dopo aver cessato l’allattamento al seno, poiché la richiesta di calcio è ancor più elevata durante la gravidanza. Sowers e i suoi collaboratori hanno dimostrato che donne che affrontano una gravidanza poco distanziata da un prolungato allattamento non hanno densità ossea alterata.

    Un altro esempio a riprova che il recupero osseo è completo, deriva dagli studi epidemiologici dei fattori di rischio per fratture da osteoporosi in donne anziane. Gli studi epidemiologici hanno accertato che l’allattamento di per sé non è associato ad un accresciuto rischio di osteoporosi in tarda età. Infatti, se si considerano la parità e altri fattori di rischio, alcuni dati suggeriscono che l’allattamento possa attualmente essere piuttosto una protezione contro le fratture dell’anca.

    Qual è il ruolo di questa transitoria carenza ossea durante l’allattamento?

    È probabile che le ossa si procurino una riserva di calcio facilmente accessibile da utilizzare poi per venire incontro alle necessità di produzione del latte; non si esclude che esistano meccanismi deputati alla ricostituzione del livello osseo fisiologico dopo che l’elevata richiesta di calcio legata all’allattamento è cessata. Storicamente i nutrizionisti raccomandavano alle donne che allattavano di consumare calcio supplementare per compensare la perdita di questo minerale nel latte materno. Oggi la Razione Giornaliera Raccomandataper le donne che allattano è di 1200 mg al giornorispetto agli 800 mg al giorno previsti per le donne che non allattano e non sono in gravidanza. Per stabilire le richieste di nutrienti sono stati usati più approcci, ma mettere in relazione fabbisogno dietetico e conseguenze funzionali ha diversi vantaggi. Due conseguenze funzionali che l’assunzione di calcio può determinare sono la concentrazione di calcio nel latte materno e il contenuto di minerali nelle ossa della madre. Numerosi studi hanno dimostrato che l’assunzione giornaliera di calcio attraverso il cibo non influenza la concentrazione di calcio nel latte materno.

    Sebbene la maggior parte dei casi studiati dimostri che l’assunzione quotidiana di calcio non previene l’impoverimento delle ossa durante l’allattamento, non è chiaro se maggiori dosi di calcio possano ridurre al minimo la perdita ossea durante l’allattamento o facilitare il ripristino fisiologico osseo dopo che l’allattamento è cessato.

    Bibliografia:
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    Kent, G. N., R. I. Price, D. H. Gutteridge et al. The efficiency of intestinal calcium absorption is increased in late pregnancy but not in established lactation. Calcif Tissue Int 1991; 48:293-95.
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    Kalkwarf, H. J. And B. L. Specker. Bone mineral loss during lactation and recovery after weaning. Obstet Gynecol 1995; 86:26-32.
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    Sowers, M. F., J. Randolph, B. Shapiro and M. Jannausch. A prospective study of bone density and pregnancy after an extended period of lactation with bone loss. Obstet Gynecol 1995; 85:285-89.
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    Traduzione di Daniela Canali

     

  • Quando la mamma ha una malattia

    Di Shera Lyn Parpia Khan. Pubblicato in Da mamma a mamma n. 54 (Rev. novembre 2019)